Caro energia, è già allarme risorse: perché rischiano anche gli stipendi

L’aumento dei costi dell’energia fa paura. Anche per l’interferenza con misure già previste, come l’aumento degli stipendi.

 

C’è il caro energia e poi c’è il caro bollette. Due concetti che spesso si tende a fondere, quando in realtà uno è la causa dell’altro. L’aumento dei prezzi delle materie prime, infatti, finisce inevitabilmente per gravare sul prodotto finito.

Aumento stipendi
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E quindi su chi lo utilizza. I consumatori finali si ritrovano in sostanza ad affrontare una crisi che parte da lontano, incrementata dall’impennata dei costi dovuta alla crisi pandemica e, nondimeno, dall’apporto diretto della guerra in Ucraina. E, con l’autunno ormai alle porte, la speranza che non faccia eccessivamente freddo durante la stagione invernale diventa essenziale per riuscire a contenere l’atteso rincaro in bolletta. Anche perché, almeno fino a questo momento, gli strumenti effettivi per il contrasto alle criticità economiche sembrano dei meri correttivi. Insufficienti per riuscire a mantenersi a galla a fronte di un’inflazione sempre più preponderante. Senza contare che il prezzo del gas non fa dormire sonni tranquilli, essendo stabile sopra i 250 euro al megawattora.

Secondo l’Arera, entro ottobre si assisterà a ulteriori aumenti. Sia sul prezzo della materia prima che, di conseguenza, sul prodotto finale. Scenario che potrebbe essere addirittura peggiore, qualora la Russia decidesse di chiudere del tutto i rubinetti del gas. A quel punto, il piano di razionamento disposto dall’Unione europea entrerebbe definitivamente in vigore. E anche se il Governo italiano ha garantito la dotazione di stoccaggi sufficienti per superare agevolmente la crisi, i costi da sostenere sarebbero lo stesso molto più alti degli standard. Senza contare che il razionamento non riguarderebbe solo le case ma anche gli uffici e, probabilmente, le scuole.

Caro energia, la bolletta fa paura: aumento di stipendi e pensioni a rischio

L’obiettivo ultimo (perché le elezioni sono ormai alle porte) del Governo Draghi, è reperire risorse sufficienti per un decreto last minute che possa quantomeno attutire il colpo. Lo scopo è duplice: supportare le famiglie nell’affrontare i costi delle bollette e, al contempo, consentire alle aziende di mantenere il punto sul piano delle uscite relative all’energia. A rischio, infatti, ci sono migliaia di aziende che potrebbero ritrovarsi impossibilitate ad affrontare incrementi troppo elevati dei costi di luce e gas. Senza contare l’aumento dei cittadini morosi, costretti a posticipare i pagamenti per via degli stipendi bassi e perlopiù in fase di stagnazione. Su questo fronte, la possibilità di riuscire a guadagnare qualcosa in più è decisamente remota, per non dire impossibile.

Più che la volontà, il problema sono le risorse. Il decreto Aiuti bis ha infatti impegnato 17 miliardi e un nuovo intervento di ampio respiro renderebbe necessario un nuovo scostamento di bilancio. Scenario che il presidente del Consiglio vuole evitare per non incidere sulle scelte del futuro esecutivo e sulla prossima Legge di Bilancio. Anche perché, ulteriori provvedimenti con richiesta di grandi risorse andrebbero a compromettere un quadro che compromesso lo è già, come l’aumento degli stipendi e delle pensioni. Il piano provvisorio prevede due tranche di intervento, dapprima con un emendamento al dl Aiuti bis da 5-10 miliardi di euro, con rafforzamento degli aiuti alle famiglie.

Aumenti rischio

Il secondo step, invece, sarebbe un decreto ex novo, da mettere in campo tassativamente prima delle elezioni del 25 settembre. Cercando, al contempo, di ridurre la spesa pubblica. Difficile riuscirci in così breve tempo, anche se qualche idea in realtà ci sarebbe: dal potenziamento del bonus sociale per i meno abbienti alla proroga del taglio sulle accise dei carburanti. Con la possibilità che venga azzerata l’Iva sul gas, come avvenuto anche in altri contesti. Per quel che riguarda il tetto al prezzo del metano, servirebbe una misura di respiro europeo. Almeno 12 miliardi servirebbero per prorogare il credito d’imposta per le imprese energivore. Probabilmente se ne occuperà il prossimo governo. Così come al prossimo esecutivo, probabilmente, saranno demandate le operazioni finanziarie per reperire risorse sufficienti per salvare il previsto aumento degli stipendi: 6 miliardi per la conferma del provvedimento a gennaio, più almeno altri 4 per tutto l’anno prossimo. Ai quali vanno aggiunte tutte le altre spese parallele. Debito pubblico permettendo.

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