Pensione, il Tfr risorsa inaspettata: ecco perché può essere decisivo

Il meccanismo del silenzio-assenso tornerà nel 2023 e permetterà di decidere fra Tfr e fondi pensione. Una soluzione apprezzata in passato.

 

C’è ancora la riforma delle pensioni sul tavolo del Governo ma l’imminenza del tema richiederà senz’altro più celerità rispetto ai mesi che ci separano dal 2023.

Super pensione Tfr
Foto © AdobeStock

Anche perché, nel frattempo, gli strumenti disposti sembrano più indirizzati all’ottenimento del pensionamento anticipato più che a fornire una soluzione strutturata. Per questa, come si è capito, ci sarà ancora da attendere. Un aiuto inaspettato, però, potrebbe arrivare da un altro strumento come il Trattamento di fine rapporto (Tfr) che, proprio per il 2023, potrebbe figurare come uno strumento di pensione aggiuntiva e non a caso. Fra le principali novità attese per il prossimo anno, infatti, si annovera qualcosa che tanto novità non è. Si tratta del meccanismo detto del “silenzio-assenso”, ovvero sulla richiesta esplicita da parte del prossimo alla pensione di mantenimento del Tfr.

Una variabile assolutamente da non sottovalutare. I lavoratori, infatti, saranno tenuti a comunicare a sei mesi dalla pensione se vorranno mantenere il loro Tfr, oppure se al momento giusto la liquidazione dovrà essere versata in modo automatico nel fondo pensione. Una soluzione, quest’ultima, che permetterebbe di accumulare la somma di denaro in un “fondo Cometa”, in sostituzione di quello previsto dall’Inps. Un ritorno al passato come detto, anche se il silenzio-assenso non si vedeva da un pezzo. L’ultima traccia risale al 2007, sempre con 6 mesi di tempo. E furono oltre un milione e mezzo i lavoratori che scelsero di convogliare i soldi nel fondo pensione.

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Fondo pensione o Tfr? La scelta nella logica del silenzio-assenso

I numeri sul silenzio-assenso sono stati forniti dal segretario confederale della Uil, Domenico Proietti. Il ritorno, però, porta anche qualche dubbio e, secondo il segretario confederale Cisl Ignazio Ganga (intervenuto al Messaggero), c’è bisogno di un’informazione corretta sul tema, oltre che di “un’educazione finanziaria” a riguardo. Un primo chiarimento dovrà infatti riguardare l’eventuale apertura a tutte le imprese, oppure se il meccanismo verrà riservato solo a quelle con dipendenti al di sotto di quota 50. In quest’ultimo caso, il Tfr viene deciso dall’azienda, mentre le più grandi operano il trasferimento diretto a quello statale. I sei mesi saranno quindi l’interregno utile alle piccole imprese per determinare l’accesso al sistema.

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Nel frattempo, proseguono le discussioni sulla possibilità di uscire dal lavoro a 62 anni e con 41 di contributi. Il punto è che, almeno per il momento, vigerà la regola di Quota 102 (64 anni e almeno 38 di contributi, 35 dei quali con contribuzione effettiva). Una disposizione che durerà perlomeno fino al 31 dicembre 2022 e che, al momento, penalizza coloro che hanno iniziato a lavorare prima di un certo periodo. L’ipotesi è quindi quella del ricalcolo in base ai contributi versati, così come avviene sostanzialmente per Opzione Donna. In pratica si andrebbe a decidere non sulla data di uscita dal mondo del lavoro ma in base a quella anagrafica. Una modifica sostanziale ma che, per il momento, è sul piano delle altre ipotesi.

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