Crisi e Covid, il Grande gioco: i delicati equilibri tra finanza e vaccino

La paventata frenata al vaccino Johnson&Johnson stoppa il roll out vaccinale negli Stati Uniti. Proprio alla soglia, secondo un membro della Fed, dello standard minimo.

Banche coronavirus
Foto di Jan Vašek da Pixabay

Forse è vero che la finanza governa il mondo. E con lei tutti gli agenti che orbitano nell’universo dell’economia globale. Una questione che emerge oggi più che mai, col Pianeta accomunato dalla crisi e una pandemia che lascerà strascichi internazionali con i quali ci sarà da fare i conti a lungo. Se dal punto di vista sanitario, infatti, la pandemia ha dato adito a ben pochi scudi di difesa, sul piano economico si è cercato (e si sta cercando) in ogni modo di mettere un freno alla regressione imprevista. Allo stesso tempo, però, si capisce come il peso dei grandi nomi del circuito finanziario mondiale giochino la loro partita più importante. E questo per una ragione molto semplice: sono proprio i grandi nomi a tenere in mano l’abaco.

Senza considerare la questione vaccini. Abbiamo visto come la sperimentazione, accanto ai fini scientifici e sanitari, ponga inevitabilmente quella del rientro economico. La corsa al vaccino significa affrettare la fine dell’emergenza ma, inevitabilmente, qualche implicazione da un punto di vista geopolitico finirà per portarla. E non è solo questione di Sputnik, AstraZeneca o altri nomi importanti. Basti vedere quanto accaduto con lo stop al vaccino di Johnson&Johnson, passato da ulteriore strumento di lotta alla pandemia, con logica conseguente implementazione della campagna europea, a ennesimo punto di dibattito sull’efficacia del siero anti-Covid.

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Crisi e Covid, il Grande gioco: la partita del vaccino

Negli Stati Uniti si è già valutato lo stop. Il che imporrà, inevitabilmente, una brusca frenata del roll out vaccinale. Figurarsi la botta per l’Europa, dove duole ancora (sui Paesi e sui cittadini in attesa di vaccinazione) la pesante vicenda AstraZeneca. Una frenata che, però, arriva a seguito di una dichiarazione di James Bullard, leader della Fed di St. Louis, che in un’intervista a Bloomberg ha parlato della soglia del 75-80% dei vaccinati come un indicatore, per l’opinione pubblica, di “messaggi più rassicuranti sulle prospettive sanitarie”. 

Dichiarazioni a metà fra l’obiettivo e il provocatorio, sufficienti comunque a far sobbalzare gli indici di Wall Street, pur a fronte di una situazione complessiva che, a livello economico, non sorride troppo agli Stati Uniti. Senza dimenticare il trend vaccinale record al di là dell’Atlantico: 36% degli americani già vaccinati con la prima dose, il 22% con prima e seconda, per un totale di 187 milioni la scorsa settimana. Ovvero, più della metà della popolazione.

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Un indicatore ben preciso: se la soglia è davvero quella del 75%, e considerando che il vaccino Johnson&Johnson richiede una sola somministrazione, l’obiettivo sarebbe raggiunto fra nemmeno due mesi. In sostanza, come riportano i media americani, a qualcuno è suonato strano che lo stop al nuovo vaccino sia arrivato proprio a seguito dell’uscita di Bullard. Alimentando quel dibattito, tacciato di dietrologia, sulla gestione della campagna vaccinale (e quindi della ripresa dalla pandemia) in base innanzitutto a prospettive strutturali adeguate. Le quali, crisi alla mano, non andrebbero di pari passo alla progressione immunitaria. Dati troppo tecnici per fornire una prova. Ma un indizio sulla rilevanza degli equilibri finanziari, anche e soprattutto in tempi di sanità precaria, magari sì.

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