Fisco, cosa intende Draghi quando parla di Modello danese

In merito alla riforma fiscale, nel suo discorso al Senato il premier cita il Modello danese come esempio virtuoso. Ecco in cosa consiste.

Modello Danese
Foto di Gerhard G. da Pixabay

La Danimarca, nel 2008, nominò una Commissione di esperti in materia fiscale. La Commissione incontrò i partiti politici e le parti sociali e solo dopo presentò la sua relazione al Parlamento“. Chissà quanta ispirazione potrà trarre, Mario Draghi, dall’esperienza fiscale sviluppata dalla Danimarca nel pieno della vecchia crisi economica. Nel suo discorso al Senato, l’ex governatore della Banca centrale europea sembra aver messo nel mirino un preciso riferimento del quale tenere conto per l’attesa riforma fiscale.

Per capire gli orizzonti, tuttavia, va capito di cosa si parla quando si utilizza la locuzione “Modello danese”. Quel piano lì prevedeva, come ha ricordato lo stesso Draghi, “un taglio della pressione fiscale pari a 2 punti di Pil. L’aliquota marginale massima dell’imposta sul reddito veniva ridotta, mentre la soglia di esenzione veniva alzata“. Detta così, naturalmente, si confà al rango degli esperti in materia.

A dare il peso della misura, potrebbero essere i numeri: allo stato attuale, la Danimarca è fra i primi Paesi europei nel rapporto fra Pil e gettito fiscale, addirittura superiore al 46%, significativa rispetto a una media europea che viaggia attorno al 40%. Questo significa convogliare quanto arriva dal gettito fiscale per coprire spese essenziali, dalla sanità alla scuola, fino ai trasporti pubblici, le Forze dell’ordine, la previdenza sociale e la manutenzione delle infrastrutture.

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Fisco, la tassazione secondo il Modello danese

Per quanto riguarda la tassazione, quella delle persone fisiche avvien con cinque imposte, una delle quali facoltativa. La più importante è probabilmente quella del contributo al mercato del lavoro e sono tassati tutti i contribuenti residenti, oltre ai proventi danesi per i non residenti. Altri numeri: l’imposta nazionale è al 12,16% per redditi da 5.755 euro (42.800 corone), 15% per i superiori. Soggetta a un parziale aumento dopo la rimozione dell’imposta sanitaria nel 2019. La Comunale varia a seconda dei Comuni, fra il 22,5% e il 27,8%.

Sul quanto Draghi possa attingere, la risposta è forse più nel metodo che nel merito. Si presume, infatti, un pool di esperti per guidare la riforma, attraverso lo studio di un sistema strutturato che possa, alla lunga, garantire vantaggi nel rapporto fra gettito e Pil. In Danimarca, ad esempio, è stata approvata di recente una riforma di riduzione delle aliquote.

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