Facebook, il Fisco bussa: stop alle holding in Irlanda e alle tasse soft

Il social network di Mark Zuckerberg rinuncia al regime fiscale agevolato e riporta i profitti negli Stati Uniti. Pesa la causa dell’Internal Revenue Service.

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Dopo la grana toccata a Twitter, adesso è Facebook a far parlare di sé in lingua irlandese. La creatura di Mark Zuckerberg, infatti, è pronta a chiudere le proprie filiali in terra gaelica e a volare altrove. Il punto è il riflesso di quello che aveva portato tre delle sue holding ad aprire in Irlanda: il cambiamento della politica fiscale del Paese. Proprio quell’aspetto che finora aveva agevolato Facebook e che, ora, lo porterà a una maggiore tassazione nei Paesi in cui opera, Usa compresi.

La notizia è circolata inizialmente su importanti quotidiani britannici, come il Times e il Guardian. Successivamente la stessa Facebook ha confermato l’imminente trasloco, visti “i recenti e imminenti cambiamenti della legislazione fiscale “che i governi stanno attuando in vari Stati“.

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Facebook, il Fisco bussa: stop alle holding in Irlanda, i profitti tornano negli Usa

Secondo quanto calcolato dai quotidiani, grazie alla più grande delle sue filiali irlandesi, il colosso dei social network avrebbe pagato, a fronte dei 15 miliardi di profitto nel 2018, solamente 101 milioni di dollari di tasse. Il 2018 che, al momento, è l’ultimo anno che reca disponibilità di dati. Le società irlandesi, infatti, hanno detenuto la proprietà intellettuale di Facebook per le vendite internazionali, così da raccogliere i vari pagamenti pervenuti dalle altre società sparse nel resto del mondo.

Proprietà intellettuale che, ora, tornerà negli Stati Uniti. Questo perché l’Internal Revenue Service, ovvero l’agenzia americana di riscossione dei tributi, ha intentato una causa contro il social di Mark Zuckerberg, proprio in virtù del suo trasferimento dei profitti in Irlanda, avvenuto nel 2010. Secondo l’accusa mossa, infatti, Facebook dovrebbe versare in relazione a questo oltre 9 miliardi di dollari.

La società californiana, da parte sua, si difende. “Le licenze di proprietà intellettuale relative alle nostre operazioni internazionali – spiega – sono state rimpatriate negli Stati Uniti. Tale cambiamento, che è entrato in vigore dal luglio di quest’anno, allinea al meglio la struttura aziendale con dove prevediamo di avere la maggior parte delle nostre attività e delle persone“. E conclude: “Riteniamo che sia coerente con i cambiamenti recenti e imminenti della legislazione fiscale che i decisori politici stanno sostenendo in tutto il mondo“.

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