Pensione minima e contributi volontari: c’è chi rischia l’uscita a 71 anni

La combinazione fra pensione minima e versamenti volontari non sempre è prolifica. Alcuni lavoratori rischiano di dover aspettare.

 

Nella nebulosa indefinita che avvolge ancora (e chissà per quanto) la riforma del sistema pensionistico, anche gli appigli considerati sicuri iniziano a dare pericolosi segnali di cedimento.

Pensione 71 anni
Foto: Canva

Si ragiona sull’eventuale riforma in grado di evitare in extremis il ritorno della Legge Fornero ma il 2023 è ormai alle porte, la squadra di Governo ancora in fase di assemblaggio e l’unica soluzione reale appare la proroga delle misure in atto. Peraltro estremamente complicata, specie per quel che riguarda Quota 102. Sostituta di Quota 100 e già destinata da tempo alla rimozione a partire dall’1 gennaio 2023. Il punto è che, prima di quella data, lo Stato italiano avrebbe dovuto dotarsi di un nuovo sistema di pensione, valido per la maggior parte dei contribuenti. Al netto della crisi di Governo subentrata in corso d’opera, la strada è da sempre apparsa in salita. E, man mano, lo spettro del ritorno alla Fornero piena si è palesato sempre più concretamente all’orizzonte.

Altrettanto difficile che possa essere definita a breve la situazione di Ape Sociale e Opzione Donna, ormai in procinto di essere anch’essi rimossi dalle possibilità valide per la pensione anticipata. Un quadro, in sostanza, fin troppo incerto e mutevole nonostante fra le promesse elettorali di tutte le forze politiche vi fosse un impegno nel fornire all’Italia un nuovo sistema pensionistico. Già prima delle elezioni di settembre 2022. Al nuovo Governo occorrerà tempo per trovare la quadra e infilare tutti i tasselli al posto giusto. Sempre che le risorse vengano trovate in misura sufficiente. Intanto, però, anche le regole della pensione minima e dei contributi volontari rischiano di non essere d’aiuto.

Pensione minima e contributi volontari: perché c’è chi rischia i 71 anni

Il rischio per una buona parte di futuri pensionati è quello di ritrovarsi effettivamente all’uscita dal lavoro con un’età decisamente avanzata. I 71 anni per la precisione, termine anagrafico ultimo per iniziare a ricevere l’assegno Inps. Ancora una volta, il nodo si trova nella divisione dei sistemi di calcolo contributivo. Nello specifico, lavoratori e lavoratrici del settore pubblico, con iscrizione alla Gestione esclusiva dei pubblici dipendenti, potrebbero accedere alla pensione di vecchiaia già in questo biennio (2021-2022) con requisito anagrafico di 67 anni. A fronte, però, di una contribuzione già attiva al 31 dicembre 1995, ossia in regime retributivo e liquidazione con sistema misto. Alla determinazione del requisito contributivo, può contribuire anche la contribuzione presso gestioni diverse.

C’è inoltre la variabile dei contributi volontari, ossia il versamento di per sé del corrispettivo di contribuzione al fine di raggiungere il diritto alla pensione e aumentare il volume del trattamento. Alla contribuzione volontaria possono accedere i lavoratori con cessata o interrotta attività lavorativa ma anche gli iscritti alla gestione separata. Chiaramente, tale soluzione interviene nel momento in cui la carriera lavorativa del pensionando si costituisce di periodi di interruzione. Per quanto riguarda la pensione minima, al netto dei contributi volontari, le regole cambiano per i lavoratori con versamenti ai fondi pensione a decorrere dall’1 gennaio 1996. Per costoro, la pensione di anzianità scatterebbe a 67 anni e 20 di contributi. A patto che l’importo della pensione superi di 1,5 volte l’assegno sociale. In caso contrario, basteranno 5 anni di contribuzione ma solo al raggiungimento dei 71 anni di età.

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