Un gioiello supremo. Nato nel Medioevo e ri-forgiato nel Seicento. Dal valore difficilmente quantificabile. Perlomeno in senso economico.
C’era ancora una sensazione di smarrimento quando l’alba si è levata sul Regno Unito. La prima, dal 1952, con un nuovo re. Anzi, con il re, visto che per oltre settant’anni l’inno ha risuonato il “God save the Queen”.
Ieri sera il sole è idealmente tramontato sul regno di Elisabetta II. Ma sarà un crepuscolo lungo, con un passaggio di consegne che corre il rischio di essere solo un periodo di transizione. Carlo, l’eterno erede, sale al trono raccogliendo un’eredità gravosa, lui stesso forgiato e cresciuto all’ombra di un sovrano che ha fatto epoca. E, per questo, testimone anch’esso di un periodo storico ormai distane dai dettami imposti dalla modernità. Durante il suo regno, Elisabetta ha attraversato la storia britannica del Novecento, guardando negli occhi lo sfaldamento definitivo dei resti dell’Impero britannico e i tentativi di costruire un rapporto con il Continente culminato, negli ultimi anni, con l’addio senza troppi rimpianti a quell’Unione di cui il Regno Unito non rientrò nemmeno fra i padri fondatori.
Un passaggio di epoche che ha contribuito ad accantonare progressivamente le migliori iconografie della tradizione britannica, lasciando il posto, negli ultimi anni, a un Paese che, con ultimo colpo di coda, ha cercato di svincolarsi dall’idea di un’Europa unita e di riprendersi la propria identità.
Un quadro fragile, almeno dal punto di vista sociale. Perché è vero che la Brexit l’hanno scelta i britannici ma è anche vero che la spinta anti-europeista ha rivitalizzato quella pro-Ue di alcune componenti del Regno, Scozia in primis, pronta a ingaggiare l’autorevolezza del trono britannico proprio sulla questione indipendentista. Col rischio che Carlo III, per paradosso, si ritrovi ad affrontare una possibilità ben più concreta di sfaldamento del Regno. Posto che, almeno per ora, la leader scozzese Nicola Sturgeon dovrà temporeggiare sulla richiesta di un nuovo referendum, sia per l’avvicendamento recente a Downing Street (che tutto sommato ha spostato poco gli equilibri) che per l’eco portata dalla morte della sovrana, che ha ricondensato i sentimenti britannici (inglesi soprattutto) sotto uno scudo di tradizioni sempre meno saldo.
Il regno di Carlo
Di sicuro, Carlo non si è tirato indietro come invece suggerirono, anni or sono, alcune voci di corridoio. Nonostante il nome non porti tradizionalmente bene in seno alla monarchia britannica. L’ultimo Carlo fu paradossalmente incoronato re di Scozia prima ancora di esserlo per gli inglesi, visto il tentativo repubblicano del Parlamento che portò al periodo del protettorato di Cromwell). Spetterà quindi a William il titolo di erede al trono, figura in ascesa ma forse, nemmeno lui, dotata del carisma che ha contraddistinto Elisabetta. Passata, in settant’anni, dal ricevere consigli quasi paterni da uno statista come Winston Churchill a scontrarsi con il carattere schivo e austero di Margaret Thatcher, fino al controverso ma tutto sommato cordiale (che contraddistinse quasi tutti i governi laburisti) rapporto con Tony Blair, nei complicatissimi anni Novanta. Gli unici, forse, di vera flessione nella popolarità dei Windsor.
Carlo, più di sua madre, dovrà vedersela coi premier della Brexit. Liz Truss, più moderata di Johnson, dovrà ricostruire il tessuto economico britannico senza il filo col Continente. E il nuovo re assisterà a tutto questo, con la speranza che la politica del Regno Unito possa tirar fuori uno statista effettivamente in grado di mettere a posto i tasselli del puzzle. Se non ora perlomeno fra qualche anno.
La corona di Sant’Edoardo
C’è attesa palpabile per il primo discorso del nuovo sovrano. Che dovrà però attendere ancora per ricevere sul capo la corona di Sant’Edoardo. Un gioiello di valore inestimabile, indossato dal Confessore la notte di Natale del 1065 e tramandata di sovrano in sovrano, ritoccata e restaurata, persino abbellita con l’intarsio di nuove gemme. La corona attuale, guarda caso, risale proprio a Carlo II, che la indossò nel 1661 dopo la caduta definitiva di Richard Cromwell, prole di Oliver, e delle ambizioni di un’Inghilterra repubblicana. E il simbolo del “detestabile governo del re”, come lo definì Cromwell padre, venne ripristinato come simbolo di potere.
Oro massiccio, con rubini, zaffiri, topazi e granati, oltre al tipico berretto di velluto viola, da oltre 600 anni custodita nella Torre di Londra assieme agli altri gioielli della corona. C’è chi ne stima il valore in quasi 3 miliardi di sterline e chi, addirittura, in 3 miliardi e mezzo. E c’è chi, invece, ritiene che sia il sovrano a dar valore alla corona. Se così fosse, e in effetti così è, ogni stima sarebbe superflua. E i sovrani lo sanno bene.