Cloud seeding, pioggia fatta in casa: il (possibile) rimedio anti-siccità

Il Codacons, di recente, ha incoraggiato la tecnica del cloud seeding per stimolare la pioggia in periodo di siccità. Ma è davvero una soluzione percorribile?

 

Cloud seeding, ovvero inseminazione delle nuvole. Un rimedio contro la siccità, o meglio, contro i cambiamenti climatici. Rilanciato addirittura dal Codacons per cercare di rimediare all’emergenza nell’immediato.

Cloud seeding
Foto © AdobeStock

Praticamente una pioggia fatta in casa. Lo scopo di tale iniziativa è quello di stimolare artificialmente la produzione della pioggia, agendo direttamente all’interno delle nuvole. Possibile? A quanto pare sì, visto che proprio l’associazione per la tutela dell’ambiente e dei consumatori ha cercato di riproporre tale soluzione come rimedio anti-siccità. Il problema della siccità, infatti, è da ricondurre proprio all’assenza di pioggia. E anche se negli ultimi giorni qualche temporale sparso ha ripreso a interessare alcune Regioni, il livello dei fiumi ha risentito gravemente dell’emergenza climatica dell’estate 2022. Costringendo, in alcuni casi, persino ad accelerare la vendemmia per evitare di perdere il raccolto.

Una situazione paradossale, dovuta al mancato rinvigorimento delle piante dall’apporto della pioggia. Visto che ci si trova ora praticamente alla fine dell’estate, al netto del caldo che potrà fare, difficilmente si percorrerà questa strada nei prossimi mesi. Tuttavia, capire se possa essere una via percorribile potrebbe essere sensato e non solo per soddisfare una curiosità. Lo stato di emergenza per siccità dichiarato da diverse Regioni, anche al Nord, ha portato a uno stanziamento complessivo di quasi 40 milioni per cercare di ovviare alle perdite economiche. Tuttavia, se la neve artificiale permette di godere lo stesso della stagione invernale, altrettanto beneficio potrebbe portare la pioggia indotta?

Pioggia indotta: può funzionare il cloud seeding? Cosa ne pensano gli esperti

Il presidente nazionale del Codacons, Marco Donzelli, ha cercato di spiegare quali sarebbero i punti a favore del cloud seeding. Una tecnica che, a sentirla così, potrebbe apparire quasi avveniristica, visto che il suo scopo è proprio la modifica delle condizioni meteo, intervenendo direttamente sulle nuvole per disseminarvi sostanze chimiche in grado di rimpiazzare gli elementi naturali che favoriscono le precipitazioni. Ossia, i nuclei di condensazione. Una tecnica che in altre parti del mondo, vista la frequenza di emergenze di questo tipo, è stata più volte utilizzata. Chiaramente a fronte di stanziamenti appositi, visto che nulla si fa gratuitamente. Figurarsi indurre il meteo a cambiare registro. Il cloud seeding, nello specifico, funziona realmente come un’inseminazione delle nuvole, stimolando le particelle di vapore acqueo presenti all’interno, per fare in modo che condensino. E, quindi, finiscano per cadere al suolo sotto forma di pioggia.

Le “scie chimiche” utilizzate sarebbero composte da ioduro di argento, sostanza che ben si lega alle molecole d’acqua delle nubi. Altrimenti, potrebbe essere utilizzato ghiaccio secco, ossia CO2 allo stato solido. Quest’ultimo metodo richiederebbe però l’uso di aerei appositi, che avranno il compito di spargere le scie direttamente dentro le nuvole. Nel primo caso, invece, si userebbero mezzi di terra, praticamente allo stesso modo dei “cannoni” che sparano neve artificiale. Come per ogni tecnica che prevede l’intervento dell’uomo sul clima, in questo caso in modo diretto, le correnti di pensiero sono abbastanza polarizzate. È vero, infatti, che il cloud seeding è stato utilizzato in casi di emergenza per salvare coltivazioni e i conseguenti guadagni economici. È vero anche, però, che i costi non sono indifferenti e l’efficacia continua a essere dubbia.

Dubbi sull’efficacia

Risulta difficile capire se, effettivamente, sia stata l’induzione a favorire la pioggia o se i procedimenti naturali sarebbero avvenuti in ogni caso. Senza contare che lo ioduro d’argento è a tutti gli effetti una sostanza chimica che, sotto forma di pioggia, finirebbe per ricadere sulla Terra. E non è chiaro quale sia realmente l’impatto sul suolo e, di conseguenza, sugli ecosistemi. Può essere indicativo il fatto che il metodo sia usato prevalentemente in Stati dove la siccità è un problema ricorrente e le piogge estremamente rare, come gli Emirati Arabi Uniti. Sta di fatto che l’efficacia del metodo è stata relativa, anche di recente. Intervenire in modo diretto sul meteo non sembra essere esattamente l’idea giusta, se non altro per la difficoltà nel controllare gli eventi. Uno stimolo esagerato potrebbe portare risultati diversi dalle attese. O non portarne per nulla. In ogni caso il costo ci sarebbe.

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