Cosa fare se il committente non svolge i lavori a regola d’arte? Muovetevi così

I lavori a regola d’arte costituiscono l’obiettivo della ditta appaltatrice. In caso di inadempienze ci si può tutelare. Ecco come

Il privato proprietario o l’amministratore di condominio può contestare i lavori non eseguiti a regola d’arte. Essi, infatti, possono attivarsi chiedendo il risarcimento danni o la risoluzione del contratto.

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Foto da Pixabay

Nei lavori svolti in condominio o nelle abitazioni private, la cd. regola d’arte indica il complesso delle tecniche considerate corrette per lo svolgimento e il completamento di specifiche lavorazioni, ovvero le realizzazioni di manufatti edili, ma non solo.

Nella prassi non è infrequente che tra il proprietario dell’immobile, che richiede una certa opera, e la ditta appaltatrice insorgano dei contrasti circa la qualità dei lavori svolti, sui tempi di compimento delle opere e, soprattutto, sugli importi da pagare.

Di seguito intendiamo fare il punto proprio sulla questione dei lavori mal eseguiti o non svolti secondo la regola d’arte: come contestare efficacemente? Come ottenere il risarcimento danni? Quanto vedremo vale sia in riferimento ai lavori condominiali che in rapporto a quelli su singole unità abitative. I dettagli.

Lavori a regola d’arte oppure mal eseguiti: il contesto di riferimento

Prima di chiarire come un privato può tutelarsi laddove i lavori non siano stati svolti secondo quanto pattuito, ricordiamo che la definizione di lavori eseguiti a regola d’arte o lavori non eseguiti a regola d’arte è altresì una precisa convenzione giuridica, onde valutare la qualità dei lavori compiuti in campo edile.

Le definizioni tecniche della regola dell’arte di una particolare lavorazione sono emanate da associazioni professionali e di fatto rilevano i cd. “enti di normazione” nazionale ed internazionale. Essi, infatti, stabiliscono specifiche procedure tecniche di dettaglio nella finalità di promuovere la definizione di standard tecnici comunemente accettati, ma anche per perseguire una qualità omogenea nelle lavorazioni e ricondurle al quadro delle conoscenze del progresso della tecnica.

Laddove emergano contrasti sull’effettiva qualità dei lavori a regola d’arte, ovvero laddove le parti non riescano ad accordarsi, la conseguenza può essere la lite in tribunale. Il magistrato valuterà le responsabilità e i dettagli della causa tenendo conto di quanto previsto nel contratto ma, in ipotesi di lacune o di mancanza dell’accordo scritto, farà valere le norme del Codice civile in materia di appalti.

La responsabilità dell’appaltatore

Rimarchiamo che l’appaltatore è da ritenersi sempre responsabile verso il committente (proprietario dell’immobile) per i vizi o le difformità della prestazione – anche se legati al fatto del subappaltatore.

In ragione dei doveri assunti nei confronti del proprio cliente, l’appaltatore deve assicurare che l’opera eseguita non abbia:

  • vizi o difetti che attestino una divergenza rispetto alle regole dell’arte;
  • difformità rispetto a quanto previsto nel testo del contratto o del progetto.

Caso assai diffuso è ad es. quello dei vizi o difformità dovuti ad errori di progettazione o direzione dei lavori.

In mancanza di lavori eseguiti secondo la regola dell’arte, ovvero in presenza di vizi o difformità delle opere realizzate, l’appaltatore è obbligato ad eliminare le problematiche a sue spese oppure a praticare la riduzione del prezzo richiesto per l’opera.

Lavori a regola d’arte oppure mal eseguiti: il risarcimento o la risoluzione del contratto

Non solo. Il cliente-committente può comunque attivarsi per il risarcimento del danno. E nello specifico caso in cui le difformità o i vizi dell’opera siano tali da rendere il lavoro finale del tutto scollegato rispetto alla destinazione desiderata, il cliente potrà chiedere la risoluzione del contratto. Nel bersaglio del committente sarà anzitutto l’appaltatore ritenuto responsabile delle problematiche emerse, ma potrebbero essere citati in giudizio altresì il progettista e il direttore dei lavori.

Attenzione però: il committente non può chiedere al magistrato sia la risoluzione del contratto, che il risarcimento danni, giacché si tratta di iniziative tra loro non combinabili. La motivazione è logica. Infatti, chi chiede un risarcimento, dà per scontata l’operatività del contratto ma si oppone all’esecuzione dell’opera non a regola d’arte.

Laddove invece il privato committente agisca per la risoluzione del contratto, la volontà è quella di ‘azzerare’ il rapporto contrattuale e di porlo nel nulla, opponendosi di fatto la sua stessa esistenza.

Interessato ed autorizzato all’azione giudiziaria è ovviamente il proprietario dell’immobile; mentre nel caso del condominio, è l’amministratore su delega dell’assemblea.

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