Gas, l’ombra del blackout: cosa succede se Mosca ferma i gasdotti

Se la Russia dovesse decidere di fermare l’export di gas, lo scenario per l’Italia sarebbe decisamente complicato. Per gli esperti si rischia il razionamento.

 

Stop all’import di gas o stop all’erogazione? Chiunque decida di compiere il passo, l’impressione è che il nostro Paese si ritroverebbe a dover compiere alla svelta un passaggio epocale.

Gas Italia Russia
Foto © AdobeStock

Dire addio alla dipendenza da Mosca e cercare canali alternativi. Difficile farlo in pochissimo tempo, anche se il governo italiano è già l lavoro per questo. I tempi necessari per allacciare le tubature nostrane con altri gasdotti esteri o qualsiasi altra ricerca di fonti alternative potrebbero costringerci ad affrontare un periodo di transizione. Se la Russia dovesse effettivamente decidere di anticipare tutte le mosse e chiudere i rubinetti di metano (che riforniscono l’Italia per circa il 40%), potrebbe portare come prima conseguenza un razionamento della fornitura di gas. Almeno questo è lo scenario ipotizzato dalla Fondazione Eni-Enrico Mattei, ottenuto tramite dei software di simulazione del mercato sia elettrico che del gas.

Si tratterebbe, in pratica, di distacchi programmati che potrebbero riproporre persino il rischio di blakcout, già palesato qualche mese fa, quando si parlava della difficoltà di approvvigionamento delle risorse dovuto alla risalita dell’inflazione. In pratica, oltre a interruzioni della corrente elettrica, si finirebbe per incappare in un provvisorio razionamento delle erogazioni di gas per uso industriale e civile (quindi per la cucina e il riscaldamento). In sostanza, un impatto serio e soprattutto evidente per tutti. Secondo gli esperti non potrebbe essere altrimenti a fronte dei 28,2 miliardi di Smc di gas consumati lo scorso anno. Solo fra quello proveniente dalla Russia.

Gli antidoti alla crisi del gas: quali sono le fonti alternative

E’ chiaro che a fronte di uno scenario critico resta uno spiraglio per la via d’uscita. Il dato da tenere in considerazione è quello dei 70 miliardi di metri cubi di gas consumato, con l’unica flessione avuta in pandemia (68,4 nel 2020) e una pronta risalita già nel 2021 (73,3 miliardi). I canali alternativi esistono ma non sono ancora paragonabili all’import dalla Russia: dall’Algeria, ad esempio, arrivano 21,1 miliardi di metri cubi, a fronte dei soli 3,1 pari a quanto fornito dalla produzione nazionale. Un divario enorme per pensare di sanarlo in così breve tempo. Lo studio della Fondazione Eni imbastisce i suoi presupposti su un azzeramento della fornitura da parte di Mosca, quindi il peggiore possibile (sul fronte economico), da qui alla fine del prossimo inverno. In questo quadro, i canali alternativi diventano la sola strada possibile per sopperire all’emergenza in tempi brevi.

E, naturalmente, guadagnare tempo per studiare un piano di autosufficienza energetica che diventa più impellente ogni giorno che passa. Il potenziamento dell’approvvigionamento dal gasdotto algerino sarebbe la prima mossa, per poi fare lo stesso anche con il gas proveniente dalla Libia. Inoltre, un’altra soluzione di emergenza sarebbe la massimizzazione dell’import di gas naturale liquefatto (Gnl). Per il resto, ci si dedicherebbe al rafforzamento della produzione nazionale. Di contro, ci si ritroverebbe con forniture sempre meno consistenti (fin quasi ad arrivare allo zero) dal Nord Europa, finora pari a 2,1 miliardi di metri cubi del consumo italiano.

Per questo, secondo gli esperti, nei prossimi 13 mesi l’Italia potrebbe verosimilmente disporre non più di 58,4 miliardi di Smc. Ovvero circa il 75% della domanda del 2021. In un quadro simile, anche il rafforzamento delle forniture da altri gasdotti non permetterebbe di sfuggire all’aumento dei prezzi. Nel caso di gravità assolute, concludono i ricercatori, la priorità si darebbe alla corrente elettrica. In pratica, nel peggiore dei casi non si resterebbe senza luce.

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