Pensioni ai 64enni, l’età non basta: le regole per i pochi eletti

Una domanda piuttosto complessa, visto che le pensioni con sistema contributivo puro richiedono un montante elevato. Quali sono i requisiti necessari.

 

Un argomento che teoricamente dovrebbe riguardare ogni contribuente ma che, il più delle volte, finisce per lasciare più dubbi che certezze. Sia sul piano politico che strettamente pratico.

Pensioni 64 anni
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Eppure le pensioni sono da tempo sul tavolo del Governo, pronte per ricevere una revisione di fondo del sistema nella sua interezza. Con l’obiettivo di correggere gli errori passati e offrire uno strumento realmente idoneo per i lavoratori prossimi all’assegno e per quelli più giovani. I quali, da parte loro, farebbero perlopiù bene a darsi un’occhiata in giro per ricercare delle soluzioni di integrazione a dei trattamenti che, in futuro, potrebbero verosimilmente essere al di sotto di certi standard. Ma per ragionare sul futuro, è giocoforza necessario buttare un occhio al presente. Il quale, al momento, parla una lingua ambivalente.

Da un lato si ragiona sull’anno in corso, con Quota 102 entrata in vigore al posto di Quota 100 e la proroga di alcuni strumenti utili alle pensioni anticipate. In pratica, almeno da un punto di vista tecnico le soluzioni sembrano esserci, anche se c’è anche l’altro lato da vagliare. E la questione qui è tutta in divenire, perché i dossier sul futuro pensionistico sono ancora sul tavolo, con un orizzonte tutt’altro che lontano come il 2023. Anno in cui la riforma attesa dovrà essere pronta. Con quali parametri e quali vantaggi, al momento, non è chiaro. Per ora conviene analizzare i freddi numeri e capire se alcune soluzioni siano più vantaggiose di altre.

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Pensioni, il caso dei 64enni: lo stipendio minimo per l’uscita

Un caso piuttosto emblematico è quello dei 64enni. In realtà, l’ordinamento pensionistico italiano prevede un’uscita dal mondo del lavoro proprio a quell’età, a patto però che i contributi versati siano tutti posteriori al 1996. Un aspetto piuttosto discusso, proprio per l’esclusione inevitabile di coloro che hanno iniziato a lavorare prima della cosiddetta Riforma Dini, entrata in vigore proprio nel 1996. I lavoratori posteriori a questa data sono inquadrati come contributivi puri, ovvero con versamenti esclusivamente effettuati secondo il sistema contributivo introdotto all’epoca. Piccola deroga solo per chi ha iniziato il lavoro in date successive per questioni di studio (laurea o percorsi equivalenti). In sostanza, la mera età anagrafica non farà la differenza, almeno non da sola.

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I versamenti contributivi, al fine di ottenere una pensione lorda che si attesti perlomeno a 1.300 euro, dovranno essere pari ad almeno vent’anni. Il che rende difficile l’accesso alla pensione entro le date disposte, sia per il lasso di tempo abbastanza breve che per le difficoltà subentrate negli anni, con ben due crisi economiche e l’intervento della Legge Fornero. Inoltre, al fine di raggiungere la soglia minima, il montante contributivo dovrà essere abbastanza elevato. Fra le condizioni più vantaggiose, ma non comune a tutti, percepire un importo di almeno 2,8 volte l’assegno sociale (467,65 euro). Al netto del calcolo contributivo puro, il montante dovrebbe attestarsi perlomeno a 340 mila euro per riuscire a uscire a 64 anni e con un assegno dignitoso. Almeno 40 mila euro l’anno nell’ultimo quarto di secolo. In pratica aver lavorato senza interruzioni. Difficile ma forse qualcuno coi giusti requisiti ancora c’è. In futuro chissà.

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