Pensione in anticipo o aspettare i 67 anni: gli scenari per il 2023

Scopriamo quali sono le possibilità per quanto concerne la pensione in anticipo nel 2023. Conviene uscire di scena prima dal lavoro e rinunciare a parte dell’assegno pensionistico?

Se invece si vuole riscuotere l’assegno pieno è necessario aspettare il compimento dei 67 anni, così come previsto dalla legge. Vediamo le varie opzioni.

Pensione in anticipo
Fonte Pixabay

La tematica delle pensioni è sempre in continuo divenire e naturalmente è di grande interesse collettivo. Chi si avvicina al traguardo deve capire “cosa fare da grande” e quindi ponderare la migliore ipotesi per vivere una vecchiaia serena e senza problemi economici.

Al contempo bisogna valutare anche le proprie capacità fisiche e psicologiche visto che alle volte si arriva alla soglia dei 60 anni con qualche acciacco e con la voglia di riposare. Vediamo quali sono gli scenari in vista del 2023.

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Pensione in anticipo con decurtazione dell’assegno: quanto conviene?

Una delle possibilità più plausibili per coloro che decidono di uscire anzitempo dal mondo del lavoro è quella di dover rinunciare ad una somma di denaro di non poco conto sul proprio assegno mensile. 

Chi invece vuole evitare di dover fare a meno della cifra piena, dovrà per forza di cose aspettare il 67esimo anno di età. Per il 2023 si attendono delle novità importanti in tal senso.

L’obiettivo è quello di mettersi alle spalle le disposizioni delle Legge Fornero in accordo con le istanze dei Sindacati Cgil, Cisl e Uil. Tornando al pensionamento anticipato, la proposta formulata da Michele Reitano (che fa parte della Commissione tecnica istituita dal ministero del Lavoro) prevede un taglio del 3% sull’assegno. 

Nello specifico, la decurtazione è calcolata per ogni anno di anticipo al momento del ritiro dal lavoro rispetto alla maturazione dei requisiti per la pensione Inps di vecchiaia. 

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Quindi prima ci si ritira e maggiore è la perdita della propria pensione. Lo Stato in questo modo eviterebbe che le uscite anticipate gravino sui propri conti. Il problema a quel punto riguarderebbe esclusivamente il lavoratore, che si dovrebbe far carico del costo dell’anticipo pensionistico (attraverso la rinuncia del 3%).

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