Pensione d’invalidità, l’Inps reimposta il timer: la notizia che tutti aspettavano

La temuta tassazione sugli aumenti non ci sarà. L’Istituto esclude che la pensione di invalidità possa contribuire a formare reddito.

Pensione invalidità Inps
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Lo sconquasso sembra essere rientrato. L’Inps ha deciso di intervenire sulla questione delle pensioni di invalidità che, nelle scorse ore, erano state inserite fra i redditi. Almeno per una parte dell’assegno che le compone. Una notizia che, naturalmente, aveva provocato un fremito nei percettori. I quali, oltre a patire patologie più o meno gravi, hanno rischiato di ritrovarsi beffati anche sulla promessa di una pensione al riparo dalle tassazioni. Così come aveva peraltro stabilito una sentenza della Corte Costituzionale risalente a non più tardi di due anni fa. Ora è l’Inps a prendere in mano la situazione, cercando di ristabilire la calma e chiarire cosa stia effettivamente succedendo. Una cosa è certa: le pensioni di invalidità non contribuiranno a formare reddito.

Questo è già un primo e fondamentale passo. Batosta e beffa sono evitate e, per quanto possibile, almeno su questo fronte i percettori possono dormire sonni tranquilli. Il problema è ora capire cosa è successo e perché le pensioni hanno corso tale rischio. Contribuire a innalzare l’Isee avrebbe inevitabilmente prodotto danni ingenti al portafogli di chi già è stato costretto a rinunciare al lavoro per le proprie condizioni fisiche. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dietro immediate pressioni delle associazioni di categoria, ha corretto il tiro rapidamente. E ora l’Inps mette il punto sulla vicenda, chiarendone le dinamiche.

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Invalidità, niente tasse sull’assegno: la spiegazione dell’Inps

Come detto, sull’intera faccenda gravava una sentenza della Corte Costituzionale, la numero 152 del 2020. Nel testo, i giudici spiegavano che gli aumenti previsti per la pensione di invalidità dovevano essere considerati alla stregua di aiuti assistenziali e, quindi, non tassabili ai fini Irpef. Una disposizione messa in pratica dall’Inps con una circolare ad hoc. Gli aumenti previsti quindi, da un minimo di 291 a un massimo di 368 euro al mese, non figuravano fra gli importi destinati a rafforzare l’Isee dei precettori. Invece, quei soldi in più hanno rischiato seriamente di finire fra i redditi percepiti, conteggiati nell’Isee e, quindi, parte di un paradosso kafkiano. In pratica, l’aumento sarebbe di fatto finito fra le tasse versate al Fisco, lasciando la situazione del tutto invariata in termini di aiuti aggiuntivi.

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La misura (ossia l’aumento) riguardava non vedenti e non udenti totali e, chiaramente, l’obiettivo era fornire un aiuto senza che potesse essere considerato come reddito. Esattamente quello che stava avvenendo, nonostante la Legge 89/2016 escludesse chiaramente tali importi “dal reddito disponibile”, configurandoli al pari di “trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari”. La notizia aveva fatto sobbalzare le associazioni competenti, con in testa Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish). La quale, immediatamente, si era attivata chiedendo conto direttamente al Ministero del Lavoro, oltre che all’Inps. Proprio l’Istituto è intervenuto per rassicurare i beneficiari, sostenendo che l’errore è stato individuato e le procedure per risolverlo avviate. Un bel sospiro di sollievo per una nutrita schiera di contribuenti. Ogni tanto ci vuole anche questo.

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