Busta paga: conviene rinunciare alla quota sindacale? I pro e i contro

Aumentare l’importo netto della propria busta paga rinunciando alla quota sindacale. Una pratica possibile ma che potrebbe non fare la differenza.

Busta paga quota sindacale
Foto da Pixabay

Ricevere una busta paga o non riceverla fa tutta la differenza del mondo. Il primo caso, infatti, significa (almeno sul piano teorico) far parte di un rapporto di lavoro regolato e con una garanzia di retribuzione. E anche in termini di contribuzione, ricevere una busta paga pone delle rassicurazioni che, ad esempio, le piccole Partite Iva potrebbero non avere. Tuttavia, per chi la riceve regolarmente ogni mese, la busta paga rappresenta il vero momento di presa di coscienza rispetto alle proprie disponibilità economiche mensili. Le quali, è bene saperlo, non possono fare affidamento su una cifra unitaria, corrispondente esattamente a quanto previsto dalla busta paga stessa. Per la quale, chiaramente, subentra la politica delle trattenute.

Non è detto, però, che non possa essere percepita una retribuzione un po’ più alta rispetto a quanto previsto. Ad esempio, pur rinunciando a una serie di garanzie, il lavoratore potrebbe decidere di rinunciare a qualcosa come la quota sindacale, ovvero una di quelle somme che rientrano fra le trattenute e utile a finanziarie le sigle sindacali presso cui il lavoratore stesso è iscritto. Una pratica più semplice di quanto si pensi: basterà infatti inviare una comunicazione all’organizzazione, oppure alla ragioneria territoriale dello Stato. Non tutto però è rose e fiori.

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Busta paga, cosa cambia con la rinuncia alla quota sindacale

La comunicazione presso gli enti competenti è obbligatoria a norma di legge. Mentre la decisione di rinunciare alla quota sindacale è a discrezione del lavoratore. Tale trattenuta, infatti, fa parte di quelle automatiche a patto che chi riceve la busta paga sia chiaramente iscritto a un’organizzazione sindacale di competenza. Questo significa che, ogni mese, il lavoratore dipendente verserà una quota associativa, prelevata direttamente dalla sua busta paga affinché il sindacato eroghi i suoi servizi assistenziali e tutelativi. L’iscrizione non è permanente: il dipendente può autonomamente decidere di interrompere il rapporto con il sindacato, eliminando di conseguenza il versamento della quota sindacale. E quindi il prelievo dalla busta paga.

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Naturalmente, una decisione simile (qualora si scelga di non iscriversi ad altre organizzazioni) comporterebbe delle conseguenze sulle proprie tutele lavorative. A ogni modo, la procedura di per sé non sarebbe poi così complicata. L’eliminazione della quota sindacale andrebbe chiaramente ad alzare l’importo netto in quanto verrebbe a mancare una delle trattenute. Anche se la percentuale complessiva non è poi così determinante: la quota sindacale, infatti, è generalmente pari all’1% della paga base, applicata al trattamento minimo sindacale percepito da ogni lavoratore assunto con Contratto collettivo nazionale del lavoro di riferimento. La decisione di ritirare la propria iscrizione al sindacato deve essere comunicata all’ente via PEC o raccomandata, con decorrenza della disdetta dal mese successivo alla presentazione della domanda. Nella quale, per inciso, dovranno essere contenute tutte le informazioni del richiedente, sia anagrafiche che relative all’azienda.

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