Nel caso in cui si decida di inserire in organico un collaboratore familiare bisogna pagare i contributi Inps? Entriamo quindi nei dettagli e vediamo cosa c’è da sapere in merito.

Impegni famigliari, lavoro, tempo libero e molto altro ancora. Sono davvero tante le cose con cui ci ritroviamo a dover fare tutti i giorni i conti. La maggior parte delle quali comportano, inevitabilmente, un esborso economico non indifferente. Lo sanno bene gli imprenditori che puntualmente si ritrovano a dover fare i conti con tasse e contributi da pagare, oltre, ovviamente, i beni e i servizi da dover mettere a disposizione della clientela. Proprio per questo motivo non stupisce che in molti siano alla costante ricerca di soluzioni alternative, grazie alle quali poter risparmiare qualche euro.
Da qui la decisione, ad esempio, di inserire in organico un collaboratore familiare. Quest’ultimo, come facilmente intuibile dal nome, si tratta di un parente che presta la propria attività lavorativa in virtù di un legame affettivo. Una soluzione indubbiamente importante, con tanti che si chiedono se risulti essere davvero conveniente. In particolare sono molti i dubbi in merito alle regole da seguire, come ad esempio se bisogna o meno pagare i contributi Inps. Entriamo quindi nei dettagli e vediamo tutto quello che c’è da sapere in merito.
Collaboratori familiari, occhio al grado di parentela
Con il termine collaboratori familiari, così come facilmente intuibile dal nome, facciamo riferimento a parenti che prestano la propria attività lavorativa in virtù di una obbligazione di natura morale. Ovvero per via di un legame affettivo, facilmente riconducibile al contesto famigliare.
Sono in molti a decidere di avvalersi dell’operato di un parente, soprattutto quando si tratta di realtà aziendali particolarmente piccole, come le cosiddette aziende famigliari. Questo in quanto in questo modo è possibile spendere, in genere, meno soldi, rispetto all’assunzione di una figura esterna. Ma è davvero così?
Prima di vedere se davvero conviene inserire in organico un collaboratore familiare piuttosto che un’altra persona esterna, è bene ricordare chi sono i collaboratori famigliari. Ebbene, entrando nei dettagli bisogna sapere che rientrano in tale categoria i parenti e gli affini fino al terzo grado. Una eccezione riguarda il settore agricolo, dove è possibile fare affidamento all’attività di parenti e affini fino al quarto grado.
Entrando nei dettagli, ricordiamo quali sono i diversi gradi di parentela:
- Primo grado, ovvero genitori e figli;
- Secondo grado, ovvero nonni, fratelli e sorelle, nipoti, quest’ultimi intesi come figli dei figli;
- Terzo grado, ovvero bisnonni, zii, ma anche nipoti, quest’ultimi intesi, in questo caso, come figli di fratelli e sorelle, e pronipoti, ovvero figli dei nipoti di secondo grado.
Collaboratori familiari, bisogna pagare i contributi Inps? Ecco cosa c’è da sapere
Una volta visto chi sono i collaboratori familiari, interesserà conoscere alcuni aspetti di tipo pratico. In particolare è bene sottolineare che per poter beneficiare dell’attività di un collaboratore famigliare, è necessario che quest’ultima sia di tipo occasionale.
Proprio in tale ambito, pertanto, si considera presuntivamente di natura occasionale l’attività svolta da pensionati oppure famigliari che abbiano già un impiego full time presso un altro datore di lavoro.
Ebbene, in entrambi questi casi le prestazioni rese vengono considerate appunto come una collaborazione familiare. In quanto tale, pertanto, il datore di lavoro non deve pagare i contributi Inps.
Collaboratori familiari, orario e compensi: la verità che non ti aspetti
Nel caso in cui non si tratti né di pensionati e nemmeno di lavoratori con impiego full time presso un altro datore di lavoro, bisogna prestare attenzione a determinati parametri. Questo affinché la prestazione del proprio parente venga considerata occasionale e di conseguenza una collaborazione famigliare.
Ebbene, proprio in tale ambito è bene sapere che in base a quanto previsto dall’art. 21, co. 6-ter del D.L. n. 269/2003, convertito in L. n. 326/2003, gli imprenditori artigiani iscritti nei relativi albi provinciali possono beneficiare delle collaborazioni occasionali di parenti entro il terzo grado. Questo a patto che avvenga per un periodo di tempo complessivo che non deve superare i 90 giorni l’anno.
In alternativa la prestazione può essere conteggiata in ore, con quest’ultime che non devono essere superiore alle 720 ore nel corso dell’anno. Trattandosi di un’attività svolta a titolo occasionale e come forma di aiuto, frutto di un obbligo morale, inoltre, non è previsto alcun tipo di compenso.
LEGGI ANCHE >>> Benzina: prezzi in preoccupante aumento, ma evitare la batosta è possibile
Avvalersi dell’attività di un collaboratore famigliare, quindi, è possibile. Bisogna però prestare attenzione ai parametri elencati, in modo tale da evitare possibili problemi in caso di controlli da parte degli ispettori.