Commenti e nickname, il nodo dell’anonimato: ecco come funziona davvero

La comunicazione, ormai da tempo, passa dal web. E i commenti sono diventati la principale interazione fra persone. Ma fino a che punto ci si può spingere?

Commenti social anonimato
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Se c’è qualcosa che è possibile dare per assodato, è come il modo di comunicare sia cambiato in modo repentino negli ultimi anni. La televisione, da potente e principale strumento di comunicazione di massa, ha ceduto il passo a una potenza ben più estesa, capillare e multiforme, come solo internet può essere. Non solo il quantitativo di informazioni (o presunte tali) è decuplicato ma anche le possibilità di interazione sono portate all’estremo. Le sezioni commenti, ad esempio, permettono a tutti (sì, proprio a chiunque) di poter interagire direttamente con un determinato contenuto, esprimendo la propria opinione o veicolando nel rispetto reciproco (o almeno provandoci) il proprio punto di vista su una determinata questione.

Attenzione però. A meno che non si tratti di un social che punta sull’identità, come può essere Facebook, i commentatori seriali ragionano in termini di nickname. Ovvero, un nome fittizio adottato come identità provvisoria per discutere su un determinato forum. Il che, molte volte, porta a credere che il presunto anonimato permetta di poter commentare a piacimento, senza assunzione di responsabilità su quanto si è scritto. A prescindere dalla possibilità della Polizia di poter risalire eventualmente all’ID della connessione, la questione è piuttosto articolata. La legge, infatti, vieta di adottare nomi di fantasia per commettere il cosiddetto reato di sostituzione di persona al fine di danneggiare qualcuno. Senza un fine illecito, tuttavia, un nome falso sul web non costituirebbe reato.

Commenti e nickname: cosa succede con l’anonimato

Cosa succede, però, nel momento in cui il nickname ha il solo scopo di tutelare la privacy senza essere un mezzo per assumere condotte illecite? Anche in questo caso la situazione è abbastanza complessa, dal momento che va a scontrarsi con leggi e normative. Il dibattito, tuttavia, può far leva su quanto spiegato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha fatto sapere che la libertà d’espressione deve essere tutelata anche nel momento in cui si scelga di restare anonimi nell’esprimere un’opinione. Anche se non si tratta di un vero e proprio diritto, l’anonimato va quindi tutelato. Per questo, su un’eventuale contesa, i giudici nazionali non potrebbero chiedere a un giornale di rivelare i dati degli utenti registrati in grado di rilasciare commenti.

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Questo perché il concetto di fondo della comunicazione sul web era di consentire la libera circolazione di idee, contenuti, opinioni e informazioni. La libertà d’espressione è sancita dall’articolo 10 della Convenzione (e dal 21 della Costituzione italiana). Ecco perché anche le autorità nazionali, prima di richiedere una divulgazione di dati sensibili, dovranno tenere in debita considerazione i diritti in questione. Il discorso cambierebbe nel caso in cui l’identificazione sia finalizzata alla sanzione di un reato. In mancanza di violazioni chiare di qualsiasi legge, tuttavia, l’anonimato resta un mezzo di tutela della propria privacy.

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