Pensione integrativa, strategie di versamenti: ecco la più conveniente

Un contributo alla propria pensione sembra sempre più necessario. Se non altro per pareggiare l’importo con quello dell’ultimo salario percepito.

Pensione integrativa ultimo stipendio
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Non può essere solo questione di impostazione legislativa. La pensione, al netto di qualunque riforma, sembra vada letta innanzitutto in un’ottica di risparmio. Ovvero, una somma che il contribuente accumula durante il corso della sua vita lavorativa, così da ritrovarsi al momento del dunque con un paracadute in termini di disponibilità economica. Al di là delle aliquote e delle formule, un contributo alla propria pensione appare sempre più necessario. Nel 2030, ad esempio, quella pubblica ammonterà al 55-65% circa dell’ultima retribuzione (35-45% per gli autonomi).

Appare chiaro, quindi, che una spintarella all’ingranaggio dovrà essere fornita tramite la previdenza complementare. Un ambito in cui, a quanto pare, gli italiani non sembrano credere più di tanto. Secondo alcuni siti specializzati, non più di un cittadino su quattro sceglie di versare in tal senso. Il che significa arrivare al momento dell’uscita dal lavoro senza una pensione integrativa. Un quadro abbastanza sconfortante se si pensa, appunto, che buona parte dell’aiuto potrebbe arrivare proprio da qui.

Pensione integrativa, come funzionano i versamenti

Considerando che per i lavoratori dipendenti la pensione dovrebbe essere, al netto, pari al 57% circa dell’ultimo stipendio, gli autonomi pagano lo scotto peggiore. La cessazione dell’attività, infatti, avverrebbe con tre anni di ritardo, perché i contributi versati non potranno coprire il requisito della pensione pubblica pari a 2,8 volte l’assegno sociale. La rendita integrativa deve quindi perlomeno pareggiare l’ultimo stipendio percepito, come spiegato da Smileconomy, con versamenti che vanno da poco più di 200 a 800 euro circa per i dipendenti. Da 181 a 600 per gli autonomi ma per almeno tre anni di più. Questo, nonostante tutto, avrà il vantaggio di allungare il montante contributivo su un periodo più lungo e, soprattutto, di beneficiare degli effetti positivi dei mercati finanziari.

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Più complesso il discorso per quanto riguarda i giovani. In effetti, riuscire a colmare il gap del reddito complessivo con un versamento di più di 200 euro potrebbe essere difficile per un neolaureato. Teoricamente, qualora si avesse qualcosina da parte, iniziare a versare prima di entrare effettivamente nel mondo del lavoro potrebbe essere una buona soluzione. I contributi ai fini previdenziali sono infatti deducibili fino a 5.164 euro l’anno, col Bonus fiscale che va a coprire le somme versate anche per i soggetti che risultano fiscalmente a carico. In sostanza, il genitore pagherebbe meno tasse qualora non raggiungesse la soglia massima di deducibilità versando in un fondo pensione intestato a suo figlio. Diverso il discorso per chi raggiunge l’80% dell’ultimo stipendio fra pensione pubblica e previdenza integrativa. L’esborso sarebbe attorno ai 110 euro al mese, 106-143 per un autonomo.

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