Scacco matto alle pensioni: c’è chi ci rimette anche con la riforma?

Con Quota 102 si rischia un pensionamento in ritardo. Ma la riforma delle pensioni potrebbe mandare anche in soffitta Opzione donna.

Pensioni riforma remissione
Foto: Pixabay

C’è ancora da lavorare sulla riforma del sistema pensionistico italiano, nonostante il traguardo di dicembre sia ormai sempre più vicino. Entro il 2022, l’accesso alle pensioni dovrà essere regolamentato da nuovi dettami, che possano sia superare Quota 100 che evitare il ritorno agli effetti primigeni della legge Fornero. In ballo, perlomeno come misura ponte, c’è da sempre la cosiddetta Quota 102, oltre che la proroga di alcuni strumenti come Opzione Donna. Due delle possibili strade, finora date quasi per scontate, che ora rischiano di portare il futuro delle pensioni in un vicolo cieco.

Se su Quota 102 a mettersi di traverso sono opposizioni (Lega in testa) e sindacati, su Opzione donna pesa il sentore di una retromarcia del Governo, finora apparso propenso alla proroga. Il tutto in un quadro che, finora, garantiva quantomeno una copertura di costi ritenuta gestibile. Le ultime discussioni, tuttavia, sembrano aver cambiato il quadro. E su Quota 102 si alza il pressing del Carroccio, fra i promotori di Quota 100 e poco propenso a un nuovo sistema pensioni che esclusa la chiusura dell’attività lavorativa a 62 anni.

Riforma pensioni, cosa succede con Quota 102

Con la nuova riforma, l’obiettivo è concedere il pensionamento a 64 anni di età con 38 di contributi. Con un livello progressivamente in salita fino a 65 anni nel 2024 (ovvero Quota 103) e 66 nel 2025 (Quota 104). Fermo restando i 38 anni minimi di contributi richiesti. Non è ancora chiaro però il tetto di spesa, mentre più definibile la situazione circa l’età: a 62 anni, questo è certo, nessuno andrà più in pensione a partire dal 2022. A rischio, in questa fase, ci sarebbe anche la scelta dell’anticipo per le donne, con l’opzione prevista per loro che potrebbe finire al bando per scelta del governo.

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Lo scotto peggiore dovrebbero pagarlo, secondo le simulazioni, i nati negli anni Sessanta. Ma, a prescindere dall’età anagrafica, è il quadro lavorativo a prestare maggiormente il fianco agli effetti della riforma, in particolare per dipendenti pubblici, autonomi e liberi professionisti. Ovvero, coloro che non riusciranno ad adeguarsi alle normative degli “scivoli”. Perlopiù si tratta del ricorso agli assegni straordinari, ma anche all’isopensione e ad altri provvedimenti simili. Il rischio, per chi non dovesse beneficiarne, è di dover attendere i 67 anni per andare in pensione.

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