Giornata di fuoco a Montecitorio: la rabbia dei lavoratori si prende la piazza

Animi esasperati davanti alla Camera dei Deputati. Piazza di Montecitorio diventa teatro di protesta e anche di scontri. Ristoratori e commercianti chiedono le riaperture.

Protesta Montecitorio ristoratori
Foto: Web

Scontri, distanziamenti azzerati, poche mascherine e persino una replica dello sciamano Jake. Stavolta, però, il teatro dei disordini è ben più prossimo rispetto a Capitol Hill. In termini di distanze e anche di problematiche. Davanti al palazzo di Montecitorio, sede della Camera dei Deputati e, idealmente, del Parlamento tutto, la frustrazione diventa rabbia. Commercianti e ristoratori scendono in piazza, contro il governo e contro le regole anti-contagio, riversando ai piedi dell’obelisco gli ultimi rimasugli di pazienza. Montecitorio diventa un catino, nel quale ribollono i sentimenti di una fetta di lavoratori lasciati perlopiù a casa dalla pandemia e solo in parte compensati dai sostegni.

Il clima è stato surreale. Un cordone della Polizia a limitare l’avanzata dei manifestanti, lavoratori disperati e personaggi pittoreschi, come l’imitatore dell’uomo che, durante l’assedio del Campidoglio americano, scelse di indossare abiti “vichinghi”, attirando su di sé l’attenzione a livello internazionale. Ma non è tanto la scenografia a fare la giornata. Anzi, non lo è per nulla. Perché in piazza ci vanno le rimostranze, la frustrazione, centinaia di imprenditori provati fino allo stremo dalla pandemia e anche dalle misure adottate per contrastarla. Gli slogan sono stati diversi ma sostanzialmente riconducibili a uno solo: aprire per lavorare.

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Giornata di fuoco a Montecitorio: la lunga protesta dei lavoratori

“Siamo imprenditori, non delinquenti”. E’ il grido che diverse persone hanno lanciato, mentre la protesta assumeva i contorni sempre più drammatici dei tafferugli. Costati un duro scontro con le Forze dell’Ordine e il ferimento di due poliziotti, oltre a sette fermi. La deriva inarrestabile di una giornata caldissima nonostante il vento freddo che ha soffiato su Roma. La Pasqua è trascorsa in zona rossa ma il nuovo passaggio in fascia arancione era atteso come il momento giusto per portare al cospetto della Camera le istanze degli imprenditori. In piazza c’è chi ha già chiuso, chi sta per chiudere, chi lavora “per un euro all’ora”. Preludio a un’estate in cui rialzare la serranda potrebbe essere un’impresa fin troppo ardua per molti.

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Niente giustifica la violenza. Che pure si è scatenata, nel momento in cui la rabbia ha preso il sopravvento sulla protesta. Secondo alcune testate, anche per colpa di alcuni gruppi estremisti, che si sarebbero infiltrati fra le maglie dei manifestanti per esasperare (e strumentalizzare) ulteriormente il disagio sociale. Anche queste scene viste fin troppe volte. Ora, però, la questione va decisamente oltre: oltre la corteccia deviante dei tafferugli e dei presunti sobillatori, si cela un Paese allo stremo, che sempre di più fa quadrato per chiedere risposte immediate. In gioco c’è la sopravvivenza di un comparto lavorativo che non si accontenta più di poco. E che, soprattutto, non vuole più sentire promesse.

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