“Unicredit ha un tesoro nascosto”: il socio chiede un premio e alla fine…

Una vicenda paradossale, andata avanti per tre gradi di giudizio in sette anni. Alla fine, il finto “tesoro” di Unicredit costa caro all’azionista che sosteneva di averlo ritrovato.

Unicredit finto tesoro
Foto di Pezibear da Pixabay

Una vicenda che ha dell’incredibile quella venuta fuori dalle mura del quartier generale di Unicredit. Una sorta di contenzioso sbucato dal nulla, esattamente come un presunto “tesoro” da svariati miliardi di euro che sarebbe stato scoperto da un manager e genesi di un tentato accesso a un premio di altrettanti miliardi. Un’operazione che non ha sortito gli effetti sperati. Ma andiamo con ordine. La vicenda, riportata dal Corriere della Sera, riguarda un azionista della banca che avrebbe sostenuto di aver scoperto una somma di denaro pari a 353 miliardi di euro presente nelle casse di Unicredit ma di cui l’istituto non sarebbe stato a conoscenza.

Già i presupposti sembrano piuttosto paradossali. L’azionista, tuttavia, avrebbe rivendicato il ritrovamento tanto da portare la questione in Tribunale per tutti e tre i gradi di giudizio. La questione, però, non era tanto determinare la storia del presunto “tesoro” scomparso e riapparso, né tantomeno capire come fosse stato scoperto. Facendo appello alle norme 927 e 930 del Codice Civile, ovvero i passaggi relativi alle cose ritrovate e al premio dovuto a chi le ritrova, l’uomo avrebbe cercato di farsi attribuire un riconoscimento. Pari, secondo il Corriere, a 17,6 miliardi.

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“Unicredit ha un tesoro nascosto”: il folle volo del socio

La storia è abbastanza complessa. Tutto sarebbe cominciato circa sette anni fa quando, durante un’assemblea dei soci, l’azionista si sarebbe fatto rappresentare da un’altra persona, la quale ha posto ai colleghi la questione del tesoro riapparso. Nell’intervento, ascoltato fra gli altri dall’allora amministratore delegato Federico Ghizzoni, il rappresentante avrebbe sostenuto come il “fondo” sarebbe stato costituito al momento dell’erogazione dei prestiti, nel 2013. Sviluppando un presunto utile di esercizio pari a oltre 300 miliardi. Una notizia che i soci avrebbero accolto con più di qualche scetticismo, in quanto finanziariamente difficile (difficilissimo anzi) che potesse essere accaduta una cosa simile.

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Tuttavia, l’azionista fa appello per vie legali, al fine di farsi riconoscere il premio previsto per legge (ovvero un decimo del valore fino a 10mila euro e un ventesimo oltre i diecimila). Una pretesa che si infrange con le decisioni dei giudici i quali, dopo aver esaminato le carte, decretano l’inesistenza del presunto tesoro (motivo dello scetticismo dei colleghi) e indicano – come emerso dalle carte citate dal Corriere – l’atteggiamento dell’azionista come “una tesi ardita”, decretando il tutto come “lite temeraria”. Imponendo alla fine un risarcimento di 30 mila euro a chi cercava di ottenerne uno. Miliardario.

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