La prassi anti-covid prevede dei periodi di quarantena obbligatoria per chi viaggia all’estero. Questo lasso di tempo può creare non pochi problemi sul posto di lavoro

Un precedente che rischia di generare una grossa ondata di polemiche. Recentemente il Tribunale di Trento ha rigettato la richiesta di riabilitazione a lavoro di una dipendente che non è rientrata a lavoro dopo il periodo di ferie così come stabilito, a causa della quarantena obbligatoria.
Avendo trascorso le vacanze all’estero (è stata in Albania) una volta rientrata in Italia si è dovuta isolare onde evitare qualsiasi tipo di rischio inerente il covid-19. Un particolare che non è piaciuto ai suoi datori di lavoro che ha deciso di estromettere la donna dall’azienda.
La sua reazione è stata quella impugnare la lettera di licenziamento, ma visti anche le numerose assenze precedenti (aveva usufruito di diversi giorni tra congedo covid, permessi legge 104 e malattia del figlio), il Tribunale le ha respinto la sua istanza.
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Covid-ferie: ecco perché si può andare in contro al licenziamento per giusta causa
Giusto o sbagliato che sia, almeno allo stato attuale la quarantena prevista per chi rientra dall’estero non è riconosciuta come una giusta causa per assentarsi dal posto di lavoro.
Quindi, una vacanza all’estero (ai tempi del covid) quando si hanno a disposizione circa 10-15 giorni di ferie oltre a non essere fattibile, può compromettere anche la propria posizione lavorativa.
L’altra faccia della medaglia è quella delle veementi proteste del popolo del web. Gli utenti vedono in questa decisione una violazione del diritto alle ferie oltre che un’invasione nella vita privata del dipendente.
Nella sentenza però viene specificato che in base alle restrizioni attuali, un viaggio all’estero può avere delle ripercussioni sull’organizzazione aziendale. Lavorare per trovare un giusto compromesso appare quanto mai doveroso. Sia le ragioni dei cittadini che delle aziende sono sacrosante.