WhatsApp, c’è un errore da non commettere (ma per qualcuno è già tardi)

Anche WhatsApp può essere utilizzato in modo improprio. Specie sul posto di lavoro. Sedici istituti di credito stanno facendo i conti con un problema.

 

Non sempre serve un hacker per violare una regola di sicurezza sui dispositivi tecnologici. O meglio, sulle applicazioni che vi sono installate.

WhatsApp multe banche
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L’abitudine di utilizzare smartphone e iPhone nella quotidianità, ha finito per coinvolgere anche atti e gesti che, solitamente, avremmo affidato ad altri mezzi. Niente di strano, visto che il progresso funziona così. Tuttavia, in questi contesti è fin troppo facile oltrepassare la linea del consentito, finendo per contravvenire a quelle regole non (sempre) scritte che tengono sotto controllo le relazioni sul luogo di lavoro. Sì, perché secondo quanto appurato da alcune recenti verifiche, in determinati ambienti di lavoro, vuoi per comodità o per l’urgenza di scambiarsi informazioni, fra colleghi viaggiano su WhatsApp una quantità di documenti che, in teoria, dovrebbe essere coperta da privacy.

E attenzione, perché a tali violazioni, in alcuni casi, possono corrispondere multe decisamente salate. Ossia, qualcosa con cui non vorremmo mai avere a che fare, figurarsi in un momento storico caratterizzato da rincari e costi esorbitanti praticamente in ogni settore. Ritrovarsi a dover sborsare denaro anche per un errore fatto su WhatsApp è qualcosa decisamente di evitabile. In pochi l’avrebbero immaginato ma non tutto ciò che fa parte della comunicazione interna di un’azienda può essere scambiato tranquillamente in chat private, nemmeno fra colleghi e neanche a finalità lavorative.

Multe su WhatsApp, cosa è emerso dai controlli sulle banche

Gli istituti di credito hanno applicato una politica piuttosto restrittiva nei confronti delle comunicazioni interne. In particolare, l’attenzione viene rivolta proprio a WhatsApp che, nell’ultimo anno, ha portato più di 1 miliardo di dollari in multe, legate a un uso improprio delle chat. Una situazione che accomunerebbe non meno di 16 istituti di credito. Finiti al centro delle indagini della Securities and Exchange Commission (Sec) in relazione alle condizioni e alle modalità di utilizzo di WhatsApp e altre applicazioni di messaggistica istantanea, in particolare sullo scambio di file e documentazione di varia natura. Il compito della Sec è infatti la vigilanza sulla borsa dei valori ma, di rimando, il controllo viene esercitato anche sulle banche. O meglio, sulle comunicazioni interne relative al campo degli affari.

Il risultato è stata l’individuazione di una serie di scambi, volontari o involontari (in alcuni casi addirittura l’eliminazione) di informazioni importanti. Il tutto, secondo la Sec, inquadrabile come una violazione della legittimità nell’uso dei servizi di messaggistica. Del gruppo fanno parte banche importanti e gruppi internazionali, come Goldman Sachs e Citigroup. I quali avrebbero già accettato di effettuare il pagamento per il mancato monitoraggio delle attività dei dipendenti. Secondo la Sec, in alcuni messaggi sarebbero state scambiati informazioni off-channel e, spesso, anche di natura commerciale. Chiaro che, a fronte di una regolamentazione che impone agli istituti un monitoraggio sulle comunicazioni interne del personale, la diffusione sempre più massiccia di WhatsApp come mezzo di comunicazione potrebbe portare a problematiche di questo tipo. Il prezzo, però, sono milioni di dollari in sanzioni.

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