Inflazione, allarme spesa alimentare: anche mangiare costa troppo

L’inflazione pesa come un macigno sui consumatori. Ma anche le imprese non scherzano per niente. L’allarme arriva dai produttori.

 

L’inflazione non accelera ma mantiene una marcia costante. Con la possibilità che, di qui ai prossimi mesi, possa realmente tornare a macinare punti percentuali, superando i livelli record già raggiunti.

Inflazione spesa
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Un problema serio, perché le tasche dei contribuenti sono state già duramente messe alla prova e la prospettiva è quella di ritrovarsi con difficoltà estreme anche nella spesa ordinaria. Inclusa quella alimentare. L’aumento dei costi, infatti, lascia basiti i contribuenti che si recano al supermercato, nonostante un minimo di avvisaglia fosse arrivata. L’impatto sulle famiglie, infatti, è diretto ma portato per vie traverse. A gravare sulle spalle dei consumatori sono gli aumenti delle materie prime che rendono difficoltosa sia la produzione che la coltivazione e l’allevamento. Ad esempio, i prezzi dei concimi sono lievitati fino a un + 170%, mentre quelli dei mangimi al + 90%. Per non parlare del gasolio, con rally fino al + 129%.

Chiaramente, a risentirne non sono solo i bilanci delle aziende ma anche i prodotti finiti. Secondo quanto indicato dall’Istat, attraverso una stima provvisoria dei prezzi al consumo per il mese di agosto, i beni alimentari, quelli per la cura della casa e della persona, sono saliti del 9,7%. Ossia un ulteriore scatto rispetto al precedente + 9,1%. Roba mai vista da oltre trent’anni a questa parte. Al contempo, frenano i prodotti ad alta frequenza d’acquisto, che passano dal + 8,7% a un + 7,8%. Per il momento, secondo gli osservatori, l’aumento ha influito tutto sommato in modo contenuto sui consumatori finali. Tuttavia, le prospettive per il prossimo futuro sono tutt’altro che rosee. Vanno infatti considerati anche i durissimi effetti della siccità.

Inflazione, la spesa alimentare costa di più: i consumatori rischiano grosso

Un campanello d’allarme lo suona Marco Pedroni, presidente di Coop Italia, il quale informa come dal 2019 al 2023, il costo dell’energia è lievitato in modo marcato, passando da 1 miliardo e mezzo a quasi 6. Ossia, il 300% in più con la prospettiva che, nel 2023, l’impatto dei costi dell’energia sulle vendite arrivi a quasi 5 punti rispetto al punto e mezzo di tre anni fa. Dette così, le cose suonano in modo meno eclatante di quello che sono in realtà. La grande distribuzione, infatti, ha un utile netto medio non oltre il punto e mezzo. E con l’energia che andrebbe a pesare quasi 6 punti, i bilanci rischiano di andare velocemente in rosso. E anche per i consumatori si prospettano tempi duri, vista la possibilità che i prezzi aumentino ulteriormente. Anche perché, per il momento, la grande distribuzione ha trasferito solo parzialmente gli aumenti dei prezzi trasmessi attraverso i listini. A tale parte, si andrà quindi ad aggiungere il prezzo dell’energia.

Più o meno convergente la posizione dell’amministratore delegato di Conad, Francesco Pugliese. Secondo il dirigente, infatti, il 30% totale dei costi di un punto vendita sono coperti dall’energia. Un situazione che potrebbe essere quasi insostenibile per alcuni negozi, tanto che alcuni di questi potrebbero essere costretti a chiudere. Anche perché, precisa Pugliese, “la nostra struttura industriale e commerciale è caratterizzata da imprese con una bassa patrimonializzazione“. Quindi le prime che accuserebbero il colpo. Per questo sarebbe necessario un intervento strutturale che possa garantire un approvvigionamento differente di materia prima, soprattutto gas. Secondo Confcommercio, la situazione sarebbe dovuta a eventi imprevedibili. A rischio ci sono 120 mila imprese del terziario e quasi 400 mila posti di lavoro. E anche per i consumatori non si prospettano tempi positivi. Perfino fare la spesa potrebbe costare troppo.

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