Pensione, il boomerang dei 20 anni: chi prende 200 euro in meno

Quota 100 è ormai un ricordo e Quota 102 è al giro di boa. La soluzione di compromesso per la pensione, però, rischia di scontentare qualcuno.

 

C’è chi spera e c’è chi annaspa. Nel pieno rispetto di quanto accaduto fino a oggi sul piano della pensione. E ora che Quota 102 è giunta al giro di boa, le incognite sul futuro cominciano a incombere, ben più di quanto avrebbero dovuto.

Pensione ridotta
Foto © AdobeStock

Il prossimo 31 dicembre, la misura ponte si chiuderà ufficialmente. E, ora come ora, la prospettiva più concreta è quella di un ritorno praticamente a pieno regime della Legge Fornero, vista ormai la messa in soffitta di Quota 100. Mentre le trattative tra Governo e sindacati proseguono, o tentano di proseguire, prova a farsi largo una nuova possibilità. Ossia, quella di proseguire con i requisiti utili al pensionamento con Quota 102 anche senza di essa. Ossia, mantenere il limite sia anagrafico (64 anni) che contributivo (20), così da far posto a una serie di nuovi trattamenti pensionistici definiti “flessibili”. In sostanza, si cercherà di stabilizzare in qualche modo l’età pensionabile a 64 anni già a partire dall’1 gennaio 2023.

Una misura che, però, non riuscirebbe a mettere al riparo i contribuenti da un doloroso effetto boomerang. Il rischio, infatti, è che pur trovando un accordo con i sindacati, ci si ritrovi a dover fronteggiare la seria possibilità di un taglio agli assegni pensionistici. Proprio in virtù di un possibile anticipo sulla pensione e a fronte di una misura esclusivamente contributiva. In pratica, chiunque dovesse uscire dal lavoro secondo le modalità di questa opzione, dovrà giocoforza accettare il taglio dell’assegno in base ai versamenti effettuati in modalità retributiva. Più saranno, più la sforbiciata sarà rilevante. Altro che boomerang.

Pensione, rischio taglio anche con vent’anni di contributi: ecco perché

Il motivo della scorciata è semplice: uscire a 64 anni equivale ad anticipare di tre la pensione di vecchiaia effettiva. Anche se gli anni di contributi dovessero effettivamente essere 20, ossia quelli necessari per il pensionamento con Quota 102. La flessibilità sarebbe quindi pagata cara, almeno in base i versamenti effettuati con metodo retributivo. La penalizzazione sarebbe quindi eventuale e non uguale per tutti. Ma di sicuro piuttosto probabile, specie per quei lavoratori che hanno versato un numero complessivo di anni di contributi prossimo ai 18 prima della riforma del 1996. Un problema atavico che, in questo caso, potrebbe diventare cronico. Senza contare che una delle branche del dibattito riguardava proprio la risoluzione della questione dei lavoratori pre-riforma Dini.

I lavoratori che più si avvicinano ai suddetti parametri, sono coloro che hanno mancato per poco il diritto di calcolo pensione con metodo retributivo fino al 2012. In pratica, per costoro il vero vantaggio si concluderebbe al 31 dicembre 1995. E se, alla fine dell’attività lavorativa, avrebbero avuto diritto a un assegno da 1.200 euro, è assai probabile che il taglio si avvicini al 18%, o addirittura superandolo. Il che abbasserebbe l’importo a 1.000 euro. Una cifra decisamente non congrua ma, di fatto, un costo dell’anticipo. Il quale, in un Paese famoso per gli assegni bassi, rischia di diventare un compromesso troppo debole. Staremo a vedere.

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