Supermercati e Pescherie senza pesce (italiano), è allarme: cosa sta succedendo

Niente mare per i pescherecci a causa del caro carburante. E i commercianti ricorrono al pesce importato. Le associazioni: “Serve un aiuto diretto”.

 

Tutto rincarato, persino i beni di larghissimo consumo. Un problema serio, perché va a influire direttamente sui risparmi dei contribuenti, messi a dura a prova dagli aumenti in serie dei prezzi, al litro o al chilo.

Pesce italiano pescherie
Foto © AdobeStock

Ma c’è anche un altro problema direttamente connesso all’insieme dei rincari, ossia il colpo diretto inferto al Made in Italy. Questo vale soprattutto per determinati settori, come quello del mercato ittico, fin troppo inflazionato da merce importata. Basterebbe un giretto fra i banche di pescheria del supermercato di fiducia, piuttosto che fra le varie bancarelle dedicate per accorgersi che il pesce italiano è ormai un quasi miraggio. Il tonno ne è un esempio, con la nostra qualità rossa che prende la rotta del Giappone e , dall’Asia, quello destinato all’inscatolamento viaggia fino alle nostre coste. Per il resto, si tratti del bacino del Mediterraneo o di altre acque della Terra, il pesce realmente italiano sembra diventato merce rara.

Il motivo della connessione fra importazione e rincari è presto detto: all’aumento dei costi del carburante corrisponde quello della marineria italiana, con il comparto rallentato praticamente in tutto il Paese. In sostanza, col prezzo del gasolio triplicato in un anno, la distribuzione è stata messa in ginocchio. E le aziende produttrici si sono viste costrette a rallentare il passo per evitare di rimetterci. Ai pescherecci, in sostanza, è stato tolto il mare. Un dettaglio non certo trascurabile se l’obiettivo è quello di pescare e vendere pesce che provenga dalle acque nostrane. Il motivo però è quasi inattaccabile: una battuta di pesca costa più di quel che rende.

Pesce italiano sparito: le proteste dei pescherecci mediterranei

Una situazione che i pescatori non hanno accettato passivamente. Anche perché, al netto della celerità riconosciuta da Federpesca nel disporre i fondi del Decreto Energia, a oggi nessun contributo sarebbe stato erogato. Il che ha finito per esasperare una situazione già abbondantemente compromessa e, per evitare di restare a secco per finanziarsi il carburante, la maggior parte dei pescatori ha deciso di tenere le barche in porto. E le proteste non sono mancate: i lavoratori del settore hanno fatto sentire la loro voce praticamente in tutta Italia, specie ad Ancona, dove i pescherecci sono attraccati ai moli ormai da due settimane. Stesso discorso per i pescatori pugliesi, dove ha fatto notizia il blocco operato dalle imbarcazioni nel porto di Manfredonia, in protesta contro il caro carburante. L’unica barca fatta passare era diretta alle Tremiti per la consegna dell’acqua.

Ad Ancona è andata anche peggio, coi pescatori che hanno fermato per diverse ore i camion di rifornimento carichi di pesce estero. Sì, perché nel frattempo i commercianti hanno aperto il paracadute dell’importazione, procedendo all’ordinazione di pescato proveniente da altri Paesi. Questo perché, pur a fronte di una condivisione dell’allerta sul gap fra costi del carburante e rientri sufficienti dal mercato del pesce, azzerare l’offerta non è un’opzione sul tavolo. Al momento, lamenta l’Associazione produttori e pesca di Ancona, il gasolio viene pagato un euro e 20 centesimi al litro. E, considerando che una barca ne consuma in media 3 mila litri al giorno, la sproporzione appare evidente. La richiesta è quella di un aiuto diretto, affinché in pescheria non si trovino solo prodotti ittici provenienti da chissà quali acque. Niente di nuovo purtroppo: qualcosa di simile si era già visto in inverno. E il mercato aveva tremato.

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