Crisi alimentare, stavolta è drammatica: “Il grano c’è per due mesi”

Le riserve di grano sarebbero in esaurimento rapido. E i piani di emergenza risentono anche della siccità. Una combinazione di fattori che potrebbe portare il default.

 

Sarebbe riduttivo parlare di crisi alimentare solamente ora. Perché è vero che Ucraina e Russia, da sole, producono circa un terzo delle riserve mondiali di grano. Ma è vero anche qualcos’altro.

Grano crisi alimentare
Foto da Pixabay

L’emergenza fame non esiste da un giorno e nemmeno i conflitti in giro per il mondo. Basti pensare alla crisi dello Yemen, con la maggior parte della popolazione costretta a vivere di import e tagliata fuori sovente dai rifornimenti alimentari per via della guerra in corso. Senza contare che la pandemia, già durante il lockdown, ha esasperato alcune situazioni già critiche, creando ulteriori sacche di sofferenza. In sostanza, l’emergenza alimentare non nasce con la guerra in Ucraina, anche se è innegabile che il rallentamento (o la frenata) delle esportazioni dai due Paesi dell’Est andrebbe a scombinare ulteriormente un quadro già pesantemente deformato. Anzi, secondo Sara Menker Seo, della società di analisi Gro Intelligence, la situazione sarebbe già a un passo dal baratro.

L’intervento al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha generato un allarme che, in realtà, stava squillando già da tempo. Secondo l’esponente della Gro, infatti, le riserve di grano complessive a livello mondiale non basterebbero che per due mesi. Dopodiché spunterebbe un punto interrogativo grosso come una casa. Il problema sarebbe direttamente connesso alla guerra in Ucraina, che ha bloccato la maggior parte delle importazioni sia dall’uno che dall’altro Paese impegnato nelle ostilità. Senza contare che la riduzione delle materie prime mette a rischio l’intero meccanismo delle produzioni. Oltre che alla crisi alimentare, in pratica, si rischia anche il default della produttività globale.

Grano, allarme scorte: cosa potrebbe succedere

A risentirne per primi sarebbero stati i prezzi, già lievitati rispetto a qualche mese fa. Il che mette già in equilibrio precario la stabilità alimentare delle Nazioni, anche se la guerra finisse domani. L’unica soluzione, spiega Menker, sarebbe un’azione concertata. Il che significherebbe innanzitutto ripianare l’emergenza geopolitica e, in seguito, sviluppare una distribuzione più equa delle risorse alimentari. Senza dimenticare che alcuni contesti, senza un’azione seriamente mirata, resterebbero al punto di partenza. Al momento, seguendo l’aumento dei prezzi a livello globale, almeno 400 milioni di persone in più rischiano di affacciarsi sulla carenza alimentare. Inoltre, le coltivazioni di mais russe potrebbero presto restare confinate al territorio di Mosca. Un’ulteriore (possibile) strategia di destabilizzazione a scapito dei Paesi europei.

Del resto, non è di certo una novità che la guerra in Ucraina sia il principale fattore di disequilibrio internazionale, anche se non l’unico. Le sanzioni emesse contro Mosca hanno sortito l’effetto di limitare l’influenza di un’economia tutto sommato non così potente come la si è spesso descritta. Il problema sorgerebbe nel momento in cui le disponibilità delle materie prime dovesse venire a mancare in modo repentino. A questo va ad aggiungersi il problema della siccità dovuto alle alte temperature della primavera. In alcuni contesti, come il Nord America, i raccolti attesi non sono arrivati. Una combinazione di fattori da blackout, almeno sulla carta. Nel mondo c’è chi soffriva la fame anche prima del Covid: forse un piano di riserva da attuare anche in caso di conflitti sarebbe stato utile. E chissà che non ci sia.

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