Prestito e restituzione, l’occhio lungo del Fisco sui bonifici

Concedere un prestito è un’operazione abbastanza comune. Ma come dimostrare che le somme non costituiscono reddito? La soluzione è semplice.

Prestito restituzione bonifico
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Negli ultimi tempi, le notizie relative alle nuove strategie di monitoraggio del Fisco hanno prodotto qualche domanda in relazione alle conseguenze dei movimenti di denaro. Anche i più comuni, come la restituzione dei soldi dopo aver ottenuto un prestito. L’Agenzia delle Entrate, infatti, monitora il bilanciamento fra entrate e uscite ma, soprattutto, la capacità di spesa in relazione al reddito e l’effettivo tenore di vita. Per questo, in alcuni casi, è obbligatorio fornire adeguata giustificazione sulle transazioni avvenute. La restituzione del denaro preso in prestito, in questo senso, rientra appieno nel discorso.

Cosa accade, infatti, se l’ente dovesse notare un bonifico a nostro favore di cui non è stata fatta menzione in dichiarazione dei redditi? Naturalmente tutto dipenderebbe in buona parte dall’importo. Ma anche fornire chiarimenti sulla natura dello scambio di denaro. Il quale, per non rientrare fra gli interessi del Fisco, dovrà essere di natura non imponibile. Ovvero, non considerabile come reddito. In caso contrario, su tali somme scatterebbe l’accertamento fiscale ed eventuale recupero delle imposte non versate (e relative sanzioni).

Restituzione di un prestito: come funziona sul piano fiscale

Qualora il bonifico in questione non fosse altro che la restituzione di un prestito, si può far affidamento sulla letteratura giuridica in merito. Il beneficiario dell’accredito, a norma di legge, non è tenuto al pagamento delle tasse, in quanto i soldi non sono indice di capacità contributiva. Questo perché si tratta di denaro altrui che andrà restituito. Il mutuante, ossia chi concede il denaro in prestito, dovrà tenere invece bene conto della natura dello stesso: se il capitale viene versato a titolo gratuito, ovvero senza corrispettivo, si riceverà indietro esattamente quanto prestato. E, per questo, non si dovranno pagare tasse aggiuntive. In caso di prestito fruttifero, invece, gli interessi costituiranno un utile per chi lo ha concesso. Il denaro dovrà quindi essere riportato in dichiarazione dei redditi.

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In caso di un controllo fiscale, quindi, dovrà essere chiaramente indicata la natura del prestito stesso. Controlli che, per questo, riguarderanno il mutuante ossia chi concede il prestito e ottiene la sua restituzione. In fase di controllo, gli importi verranno considerati come reddito, a meno che non sia l’interessato a dimostrare subito il contrario. Per convincere il Fisco che si tratta di un prestito infruttifero (si parla sempre di somme ingenti), si farà innanzitutto affidamento al contratto scritto di mutuo, registrato proprio presso l’AdE e firmato da entrambe le parti in causa. Si potrebbe optare inoltre anche per lo scambio di PEC, ovvero inviare il contratto di mutuo tramite posta certificata. Infine, si potrebbe utilizzare la movimentazione bancaria, dove sarà dimostrato che l’entrata e l’uscita hanno un importo esattamente identico. Se i movimenti ritenuti sospetti dal Fisco corrispondono a un prestito infruttifero, gli accertamenti bancari (come stabilito dalla Cassazione) saranno illegittimi.

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