Working poor, stipendi (forse) in salita: la svolta arriva dall’Europa?

Il salario minimo europeo, adottato da alcuni Paesi, sembra aver migliorato stipendi e condizioni dei lavoratori. In Italia il passo non è ancora stato fatto.

Lavoro stipendi poor worker
Foto da Pixabay

Un tema annoso quello degli stipendi. Rinforzato dalla crisi innescata dalla pandemia e affrontato in modo tale da coordinare in seno all’Europa una strategia precisa per far sì che la ripartizione dei salari sia non solo equa ma anche uniforme. Una bella mission, se non fosse che per il momento il progetto è fermo a Bruxelles. Ed è quello del salario minimo, non inquadrato nel Piano di ripresa pensato dal Governo ma visto da più parti come una soluzione quantomeno per raddrizzare il tiro.

Anche perché in ballo ci sono due milioni di lavoratori circa. I dati Eurostat, in questo senso, parlano chiaro: 2.102 euro nel 2018 di salario mediano in Italia, numeri rilevati da uno studio Inapp. Per quanto riguarda gli stipendi orari lordi, ci si aggira sugli 11,2 euro. l progetto in seno all’Europa allargherebbe la fascia del reddito minimo al 60% del salario mediano, quindi 1.261 euro, circa 7 l’ora. E, secondo il presidente Inps Pasquale Tridico, visto che al momento i lavoratori che percepiscono un salario a 6 euro l’ora sono 2 milioni circa, tutti loro saranno interessati dal provvedimento europeo.

Stipendi minimi, la situazione nell’Unione europea

Nonostante non sia stato ancora introdotto in Italia, il salario minimo è già ad appannaggio di non meno di 22 Stati membri dell’Unione europea. Eurofound ha indicato il Lussemburgo come il Paese dove il tetto si attesta ai livelli più alti, ovvero 1.998,59 euro. Minimi alti anche in Irlanda (1.614 euro), Paesi Bassi (1.578 euro), Belgio (1.562,6 euro) e Francia (1.498,5 euro). Più indietro alcuni Paesi dell’Est Europa, come Romani (407,3 euro), Lituania (400 euro) e Bulgaria (260,8 euro). In Italia, tale soglia non esiste ancora poiché la ripartizione e l’importo dei salari vengono decisi dai contratti collettivi.

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C’è però il modello tedesco che si segnala come piuttosto interessante. A fronte dell’introduzione degli stipendi minimi nel 2015, a 8,5 euro l’ora, si è registrato un miglioramento per oltre il 40% dei lavoratori subordinati che, prima di quel momento, non era inquadrato senza contrattazione collettiva. Addirittura, solo un anno prima ben 4 milioni di lavoratori percepiva uno stipendio orario inferiore agli 8,5 euro. Si tratta dei cosiddetti “working poor”, ovvero lavoratori che hanno un reddito vicino alla soglia di povertà. Appena quattro mesi dopo l’introduzione della misura, i lavoranti tedeschi sotto gli 8,50 euro erano già scesi a 1,4 milioni.

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