Altro che lockdown! Minacciati e pagati 4 euro l’ora per costruire yacht di lusso

Scoperto a La Spezia un vero e proprio sodalizio criminale che sfruttava lavoratori pagandoli una miseria, picchiandoli e minacciandoli.

Li facevano lavorare anche 15 ore al giorno e li pagavano tra i 4 e i 5 euro l’ora. Se si ribellavano, li picchiavano e li minacciavano. C’era un vero e proprio sodalizio criminale alle spalle di un’azienda che costruiva yacht di lusso. Un caporalato che fruttava un sacco di soldi ai criminali e che riduceva in schiavitù i lavoratori, per lo più bengalesi.

A mettere fine allo sfruttamento, gli uomini della Guardia di Finanza del Comando Provinciale di La Spezia che in mattinata hanno eseguito otto ordinanze di custodia cautelare (7 in carcere e una ai domiciliari) nell’ambito di un’operazione tra La Spezia e Ancona.

Le Fiamme Gialle avevano preso di mira una società operante presso rinomati cantieri spezzini che realizzano yacht di lusso, e quello che hanno scoperto è vergognoso. Venivano sfruttati decine di lavoratori extracomunitari: venivano sottopagati e costretti a turni massacranti in un regime di vigilanza minaccioso e violento. Nell’operazione sono stati sequestrati beni per circa 1 milione di euro.

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In un comunicato della Guardia di Finanza, si sottolinea: “i finanzieri hanno condotto una complessa indagine che ha reso possibile individuare una serie di condotte di sfruttamento, ai danni di decine e decine di operai, punite dalla recente normativa a contrasto del caporalato (art. 603 bis c.p.)”.

I finanzieri hanno riassunto tutto quello che succedeva all’interno dei capannoni: orari di lavoro, intercettazioni e testimonianze degli operai che hanno confermato vessazioni, umiliazioni e vere e proprie violenze. I capi del sodalizio sfruttavano il bisogno di lavorare degli extracomunitari pagandoli una miseria e impiegandoli in attività pesanti e pericolose, come la saldatura, la stuccatura e la verniciatura di imponenti yacht e super-yacht.

Erano anche costretti ogni mese a restituire gran parte dei soldi che percepivano come salario attraverso un sistema di false buste paga ideato da un consulente del lavoro di Ancona per aggirare i controlli.

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