Ecco perché con lo spread alto le banche italiane pagano il conto più salato

Dopo aver navigato intorno ai 200 punti per tutto il mese di luglio, lo spread è balzato fino a 240 quando Matteo Salvini ha aperto ufficialmente la crisi di governo. La notizia di possibili elezioni anticipate ha impaurito gli investitori, che hanno cominciato a vendere obbligazioni societarie, azioni e titoli di stato italiani. Sui mercati, l’indice del settore bancario ha iniziato ad oscillare paurosamente. Perché?

Lo spread condiziona troppo il valore delle banche: se è basso, la valutazione degli istituti di credito italiani aumenta, se è alto, diminuisce.

Le banche italiane possiedono circa 400 miliardi di euro in titoli di stato. Quando il rendimento dei Btp sale e i prezzi scendono, lo spread subisce un impennata. In quei giorni tumultuosi, il rendimento ha subito un aumento medio dello 0,40%, mentre il prezzo è calato del 2,4%. In euro, la perdita per le banche è stata di 9,6 miliardi.

Anche se si tratta di una perdita virtuale, le banche subiscono ugualmente questo potenziale contraccolpo. Nessuna si salva, dalla più piccola alla più grande. Ad esempio, Intesa Sanpaolo, la più importante d’Italia insieme ad Unicredit, dopo solo due sedute ha subito una perdita di 1,9 miliardi di euro.

Non è solo lo spread ad incidere negativamente sulle valutazioni azionarie delle banche italiane. I tassi negativi stanno causando meno redditività. Tra le maggiori fonti di rendimento degli istituti di credito c’è il margine fra il tasso medio sui prestiti e quello sulla raccolta a famiglie e società non finanziarie. Attualmente, questo margine è intorno ai 196 punti base, lontanissimo da quello pre-crisi, che era intorno ai 335 punti base.

Quindi, la conferma da parte dei Mario Draghi del perpetuarsi ancora di questi tassi negativi rappresenta per le banche italiane una ulteriore fonte di incertezza.

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