Italia, crescita al palo e deficit in rialzo: Ue sempre più pessimista

Nonostante le previsioni rosee del governo, i dati economici dicono che l’Italia non si sta affatto riprendendo, anzi, sta marciando molto più lentamente rispetto al resto d’Europa. Il Prodotto interno lordo è praticamente fermo (+0,1% invece dello 0,2% previsto a febbraio), e anche la ripresa non può affatto dirsi consolidata viste le previsioni per il 2020 ferme allo 0,7%.

I dati snocciolati dall’Unione europea per l’Italia sono a dir poco pessimisti, tanto più in un contesto europeo dove, seppur a fatica, si cresce: la crescita media dell’Eurozona prevista dai piani alti di Bruxelles è dell’1,2% per il 2019 e dell’1,5% per il 2020. Ecco quindi che il Belpaese resta sempre agli ultimi posti nelle classifiche europee sulla crescita, sul rapporto deficit/Pil e sugli investimenti.

Il deficit, per esempio, non racconta nulla di buono: il governo ha previsto un deficit al 2% per quest’anno, mentre l’Unione europea è convinta che difficilmente si riuscirà ad andare sotto il 2,5%; e per il 2020 si parla di un deficit pronto a schizzare persino al 3,5% (a meno che non si aumenti l’Iva…). E il debito, vien da sé, finirà per pagarne lo scotto più caro, tanto è vero che tutti gli analisti convergono sul fatto che il debito pubblico continuerà ad aumentare fino al 135,2%, in perfetta controtendenza rispetto all’andamento della zona euro.

“La Commissione europea valuterà la conformità di ciascun Paese al patto di stabilità a giugno”, ha precisato il commissario europeo agli Affari Economici Pierre Moscovici. “Per quanto riguarda l’Italia – ha aggiunto – terremo conto delle misure annunciate dal governo lo scorso aprile e delle performance economiche dell’anno scorso”. Sulla base di questo, l’Ue valuterà se sarà il caso oppure no di avviare una procedura per debito eccessivo.

Sul fronte lavoro, la Commissione prevede un aumento della disoccupazione all’11%, anche in virtù del fatto che il reddito di cittadinanza da poco entrato in vigore spingerà molte più persone, oggi considerate inattive, ad iscriversi presso i Centri per l’Impiego, e pertanto ad essere conteggiate nella forza lavoro attiva.

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