Questa settimana prende ufficialmente il via il nuovo governo targato Lega-Movimento 5 Stelle. Tra ministri in odore di conflitto di interessi (vedi quello alla Difesa), altri che hanno già iniziato a fare dichiarazioni inopportune (vedi Salvini e Fontana) e altri ancora che si sono fatti portatori di teorie economiche alquanto bizzarre (vedi caso Lezzi), il nuovo esecutivo è già partito a tutta potenza.
E in questa carica ci rientra anche il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che ha più volte ribadito l’eventualità di un aumento dell’IVA per finanziare il taglio delle tasse sui redditi, che è poi quello che si propugna con la flat tax. Tria ha infatti dichiarato di essere favorevole all’aumento dell’IVA previsto dalle clausole di salvaguardia per finanziare la famosa tassa piatta.
“Come sostengo da più di dieci anni, ritengo che in Italia si debba spostare il peso delle imposte dirette verso le imposte indirette. Si tratta – ha aggiunto – di una politica che vede concorde anche l’Unione europea e l’Ocse, quindi non vedo cosa ci sia di male”.
Per fare chiarezza su questo punto vale la pena prendere in esame uno studio condotto da Bankitalia, che ha proprio provveduto a stilare due scenari: il primo, nel quale la prima aliquota IRPEF viene ridotta dal 23 al 21%, e il secondo, in cui gli scaglioni IRPEF rimangono tali, ma aumentano le detrazioni per redditi da lavoro. Entrambi gli scenari prevederebbero naturalmente l’aumento dell’IVA dal 22 al 25% e l’aumento dell’aliquota ridotta dal 10 all’11,5%.
Ebbene, Bankitalia è giunta alla conclusione che entrambi gli scenari finirebbero per essere positivi in termini di risparmio fiscale per il contribuente, anche se il dato relativo alla redistribuzione peggiorerebbe. Anche perché non dobbiamo dimenticare che l’IVA più alta la pagherebbero tutti, dai disoccupati ai meno abbienti, mentre il beneficio di un’IRPEF più bassa riguarderebbe la sola parte attiva del Paese.
Foto di Claudio Onorati per Ansa