Scandalo call center: centralinisti pagati 33 centesimi l’ora

Che lo stipendio di un centralinista dei call center non fosse particolarmente elevato, lo si sapeva già. Ma che fosse così sottopagato probabilmente non tutti eravamo pronti ad immaginarlo. Fatto sta che un operatore che siede dietro i centralini telefonici con indosso una cuffia e davanti il monitor di un computer, alla fine del mese può ritrovarsi anche con uno stipendio – se così lo si può definire – di 92 euro.

In pratica, il suo lavoro può anche valere la misera cifra di 33 centesimi l’ora. E non è tutto, perché pare che all’interno di questi posti di lavoro si stia consolidando l’abitudine di decurtare dalla remunerazione un’ora di lavoro per chi va al bagno anche solo per 5 minuti, e persino per chi arriva con 2 o 3 minuti di ritardo rispetto all’orario di inizio turno.

Questo non è un gioco alle supposizioni più macabre, ma il quadro che viene descritto da una denuncia della SLc Cgil di Taranto riguardo un call center in particolare. A primo approccio l’offerta di lavoro pareva allettante: stipendio di 12mila euro l’anno per chi avrebbe accettato il posto di lavoro, salvo poi scoprire che la realtà non solo non stava proprio in questi termini, ma superava persino ogni più pessimistica immaginazione.

I dipendenti impiegati nel famigerato call center si sono licenziati in massa dopo essersi ritrovati in banca un bonifico di appena 92 euro. Perché 92 euro per un mese di lavoro sono un insulto alla dignità. “Alle loro rimostranze – ha spiegato il sindacato – l’azienda ha risposto che se per 5 minuti si abbandona il posto di lavoro per andare in bagno, le regole vogliono che si decurti un’intera ora. Anche per un ritardo di tre minuti l’azienda non riconosceva lo scatto orario”.

Per far pagare caro questo atteggiamento di sopraffazione, il sindacato sta provando a collegare questa situazione alla legge contro il caporalato, con tutto ciò che potrebbe conseguirne in termini di sanzioni. Nel frattempo è stata depositata una denuncia dei lavoratori e del sindacato stesso nei confronti dei vertici aziendali.

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