Contratti a termine, dal 2018 si scende da 36 a 24 mesi

A partire dal gennaio 2018 il contratto a termine potrebbe non durare più di 24 mesi.

Nella legge di Bilancio al vaglio del Parlamento è infatti apparsa una norma che limita la durata dei contratti a tempo determinato, riducendone il tetto massimo da 36 a 24 mesi. L’obiettivo? Spingere gli imprenditori ad assumere forza lavoro con contratti più stabili, come quello a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act che di fatto è il nuovo indeterminato.

La cosa però non piace a Confindustria, che teme l’effetto praticamente contrario. Il timore degli industriali, infatti, è che ridurre da 36 a 24 mesi la durata dei contratti a termine finirà con lo spingere i licenziamenti più che i contratti stabili.

A parlarne è stato Vincenzo Boccia, che ha definito la misura una “perdita di tempo poco incisiva”. Secondo il leader degli industriali, “a farne le spese saranno soprattutto i lavoratori assunti con contratto a termine prossimo alla scadenza. Potrebbero trovarsi privi di un’occupazione prima del previsto, col risultato, a dir poco paradossale, che la misura volta a spronare le assunzioni accresca invece il numero di disoccupati”.

Per Confindustria, più che concentrarsi su norme di legge che sarebbero fine a se stesse, occorrerebbe focalizzarsi di più sulle ragioni che inducono gli imprenditori a non scegliere il contratto a tempo indeterminato. Perché se non vogliono assumere evidentemente è perché c’è dell’altro e non basta di certo una norma a dire che lo devono fare. Agire sul cuneo fiscale per esempio potrebbe essere un modo per incentivare le assunzioni stabili, specie alla luce dell’enorme carico fiscale che grava sui contratti di lavoro più tradizionali.

E’ comunque probabile che la norma contenuta nella manovra finirà per essere cassata a seguito dell’analisi parlamentare. L’approvazione definitiva della legge è comunque attesa da qui ai prossimi giorni, per cui il nodo verrà sciolto in tempi sicuramente molto brevi.

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