Ultimo tentativo di mediazione sulle pensioni. Domani il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni incontrerà i sindacati i quali hanno in sostanza bocciato l’offerta avanzata dal governo nei giorni scorsi: «salvare» dall’aumento dell’età pensionabile (67 anni nel 2019, cinque mesi in più rispetto a ora) solo chi rientra nelle 15 categorie dei lavori gravosi, dalle maestre ai muratori.
Si fa largo l’ipotesi che l’età pensionistica venga portata a 66 anni e 11 mesi, mentre le categorie da esentare del tutto sarebbero «congelate» in attesa dei risultati della commissione scientifica che analizzerà l’andamento della speranza di vita per ogni categoria professionale.
Il costo sarebbe intorno ai 600 milioni di euro l’anno e la trattativa sembra in salita anche per la netta contrarietà del ministero dell’Economia. Perché uno sconto solo di un mese? Non si tratta di un numero a caso. Sulla speranza di vita sindacati e governo hanno raggiunto l’accordo su un nuovo metodo di calcolo: non si confronterà solo il dato all’inizio e quello alla fine del triennio considerato, ma peseranno anche le variazioni registrate fra i due estremi.
Tra il 2014 e il 2016 c’è stato un aumento di cinque mesi, ma nel 2015 c’è stata una flessione di cui non si è tenuto conto. Il nuovo metodo di calcolo dovrebbe essere utilizzato solo in futuro, a partire dal 2021. La richiesta dei sindacati è di utilizzarlo in modo retroattivo, già per lo scatto del 2019 che deve essere formalizzato entro fine 2017.
Il governo resiste, i sindacati pure. Ma se domani non si troverà un accordo, il tema delle pensioni resterà esposto al vento degli emendamenti parlamentari sul disegno di legge di Bilancio montando un pezzettino della riforma delle pensioni. E poi non dimentichiamoci che la prossima primavera ci saranno le elezioni, con tutto ciò che ne potrà conseguire in termini di promesse elettorali e di un eventuale passaggio del testimone a Palazzo Chigi.