Ormai sentiamo parlare sempre più di frequente di Ape, ovvero della possibilità di ottenere un anticipo pensionistico. Questo, come molti di noi sapranno già, altro non è che un prestito a tutti gli effetti che il beneficiario dovrà poi restituire una volta andato in pensione.
E allora in molti si pongono una domanda fondamentalmente molto semplice, ma al tempo stesso più che giusta: se di prestiti si deve parlare, non conviene forse più chiedere un prestito INPDAP, ad esempio, anziché ricorrere all’Ape? A dire il vero, per quanto sia giusto definire l’Ape come un prestito, va anche detto che questo non è un prestito come tutti gli altri.
Innanzitutto perché è legato al discorso pensione e quindi anche a dei requisiti molto rigidi in fatto di età e di esperienza contributiva, ma poi anche perché ha dei tassi di interesse che sono decisamente più bassi rispetto a quelli che troveremmo sul mercato.
Inoltre, e questa non è affatto cosa da poco, per molte categorie di lavoratori si applica l’Ape sociale, cioè una variante dell’Ape che non prevede alcun interesse sull’anticipo ricevuto: l’Ape sociale è praticamente a costo zero, e definito come tale perché si applica solo ai lavoratori più svantaggiati, cioè a coloro che hanno svolto per anni dei lavori usuranti.
In ogni caso il pensionamento anticipato si applica solamente a quanti hanno compiuto i 63 anni di età e ai quali mancano non più di 3 anni e 7 mesi per poter andare in pensione. Questi soggetti potranno richiedere, entro fine dicembre 2018, l’accesso all’Ape o all’Ape sociale, e farlo indipendentemente dal fatto che risultino aver lavorato come dipendenti pubblici o privati. Anzi, lo strumento del prestito pensionistico si applica anche agli autonomi iscritti alla gestione separata Inps e alle gestioni speciali.