Il Fondo Nazionale di Risoluzione delle crisi bancarie voluto dalla Banca d’Italia per mettere in salvo le quattro banche fallite (Banca Marche, Banca Etruria, CariFerrara e CariChieti) pare si stia trasformando in una sovrattassa per i correntisti. Alcuni istituti, come per esempio Banco Popolare, Unicredit e Ubi Banca hanno aumentato infatti i costi dei depositi dei clienti per recuperare quanto elargito sotto forma di contributo al Fondo stesso.
La maggiorazione che Banco Popolare ha introdotto è di 25 euro annui. Si tratta di un aggravio in più che peserà su un milione e mezzo di correntisti che fino ad oggi godevano di un canone zero. Unicredit, invece, ha rivisto il canone mensile per alcune tipologie di conto corrente aumentandolo di 2 euro mensili e portandolo così dai 5 ai 12 euro al mese a seconda della tipologia di conto corrente.
Infine, Ubi Banca. Nel suo caso, Ubi ha giustificato l’aumento di 12 euro per i correntisti a causa di un fantomatico “aumento dei costi di produzione sostenuti per rispettare le direttive europee legate al Fondo di risoluzione”.
Un aumento dei costi che può pure essere vero, ma che per esempio banche quali Bpm, Intesa San Paolo e Montepaschi hanno deciso – quanto meno per il momento – di non riversare sull’anello debole della catena, che fino a prova contraria era e rimane il correntista. Questi tre istituti, infatti, non hanno predisposto alcun aumento sulle spese dei conti correnti.